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La storia della bandiera di One Piece che ha spaventato una parte della stampa italiana

Il Jolly Roger, simbolo di libertà, lealtà e giustizia sventolato nelle piazze di tutto il mondo, è stato malamente frainteso come un segno di morte e terrore

17 ottobre 2025
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Nelle ultime settimane, in Italia, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro il blocco israeliano della Global Sumud Flotilla, per esprimere solidarietà alla popolazione di Gaza e per chiedere al governo Meloni di interrompere i rapporti con Israele, accusato di genocidio.

Tra le migliaia di bandiere della Palestina sventolate dai manifestanti, ne è comparsa anche una nera con un teschio bianco che indossa un cappello di paglia. Secondo il quotidiano italiano di destra Secolo d’Italia si tratterebbe di un simbolo che rappresenta «minaccia di morte e terrore». In realtà, questa interpretazione è errata poiché la bandiera non è un emblema di violenza, ma il Jolly Roger, cioè il nome che si dà comunemente a questo tipo di bandiera, dei “Pirati di Cappello di Paglia”, protagonisti di “One Piece”, il celebre manga scritto e disegnato da Eiichirō Oda, diventato anche una serie televisiva anime nel 1999.

L’immagine, lungi dall’incitare all’odio, richiama invece ideali di libertà, solidarietà e resistenza contro l’oppressione, valori centrali nella storia di Oda e probabilmente alla base della scelta di molti manifestanti di esibirla. Questo simbolo pop-culturale, ormai riconosciuto a livello globale, è apparso non solo nelle piazze italiane in solidarietà con Gaza e la Palestina, ma anche sulle navi della Global Sumud Flotilla e in numerose altre proteste in tutto il mondo, dal Nepal alle Filippine, in Indonesia, in Francia, fino al Madagascar.

La lunga rotta di “One Piece”, il più grande racconto di pirati mai disegnato

Quando nel 1997 “One Piece” debuttò sulle pagine del Weekly Shōnen Jump, pochi avrebbero immaginato che la storia di un ragazzo di gomma con il sogno di diventare Re dei Pirati sarebbe diventata una delle epopee più longeve e influenti della cultura pop mondiale. Il protagonista, Monkey D. Rufy, salpa per i mari in cerca del leggendario tesoro “One Piece”, lasciato dal precedente Re dei Pirati, Gol D. Roger. Durante il suo viaggio, Rufy raduna una ciurma di compagni e affronta imperi corrotti, governi oppressivi e pirati spietati, in una continua lotta per la libertà, la lealtà e la giustizia.

Ideato dall’autore Oda allora poco più che ventenne, il manga si impose subito per il suo stile grafico dinamico, l’umorismo irriverente e la profondità dei temi trattati: l’amicizia, la libertà, la giustizia, il potere e la corruzione. Ma ciò che ha reso “One Piece” un fenomeno senza precedenti è la sua capacità di crescere insieme al proprio pubblico, trasformando un’avventura piratesca in una complessa saga umana, politica e filosofica.

In oltre venticinque anni di pubblicazione, “One Piece” detiene il record per il maggior numero di copie pubblicate nella stessa serie di fumetti da un singolo autore con 500 milioni di copie stampate in tutto il mondo, superando ogni record nella storia del fumetto giapponese. Oda ha costruito un universo narrativo vasto e coerente, dove ogni isola visitata, ogni personaggio secondario e ogni dettaglio concorrono a un disegno più grande, progettato fin dall’inizio. Questa architettura narrativa, unita a un costante equilibrio tra leggerezza e dramma, ha reso la serie un modello studiato e imitato da autori di tutto il mondo.

Parallelamente, “One Piece” ha saputo espandersi oltre le pagine del manga. La serie televisiva anime prodotta dall’azienda giapponese Toei Animation, che oggi conta oltre mille episodi, ha consolidato la popolarità della saga e introdotto nuove generazioni al suo immaginario. I film animati hanno sbancato i botteghini giapponesi, i videogiochi hanno trasformato i pirati di Oda in icone interattive, e nel 2023 Netflix ha portato in scena una trasposizione live-action che nel settembre dello stesso anno è stata la serie più vista sulla piattaforma in 84 Paesi.

Dalle pagine di un fumetto alle piazze reali

Da manga e anime di successo, però, “One Piece” ha fatto un ulteriore passo ed è recentemente diventato un simbolo delle proteste che hanno scosso vari Paesi. Gli ideali dei protagonisti che ruotano attorno alla voglia di libertà hanno trovato forte risonanza soprattutto nella Gen Z che sta ridefinendo il vocabolario culturale del dissenso. 

A luglio scorso il Jolly Roger di “One Piece” ha iniziato a comparire in tutta l’Indonesia, dalle porte delle case, ai paraurti delle auto, e come murale sui muri delle città. Per molti cittadini, si è trattato di una risposta provocatoria all’appello del presidente Prabowo Subianto, che aveva invitato gli indonesiani a esporre la bandiera nazionale rossa e bianca in vista della Festa dell’Indipendenza del 17 agosto. Alcuni, invece, hanno scelto di issare il Jolly Roger del manga giapponese come segno di dissenso contro quello che viene considerato un governo sempre più centralizzato, mentre nel Paese esplodevano una serie di proteste contro un sistema percepito come corrotto e sordo alle difficoltà della popolazione. Ali Maulana, un cittadino indonesiano residente nella città di Jayapura, ha spiegato alla BBC che “One Piece” riflette l’ingiustizia e la disuguaglianza che vivono gli indonesiani, aggiungendo che «anche se questo Paese è ufficialmente indipendente, molti di noi non hanno realmente sperimentato quella libertà nella vita quotidiana». Il successo di “One Piece” tra gli indonesiani ha trasformato la bandiera con il teschio e il cappello di paglia in un modo diverso e originale per sensibilizzare l’opinione pubblica su temi politici. 

Quella che era nata come una forma di protesta locale si è presto trasformata in un fenomeno globale. Il vessillo dei pirati di “One Piece”, infatti, ha cominciato ad apparire in altre piazze del mondo. Una delle foto diventate simbolo della proteste in Nepal mostra la bandiera drappeggiata sui cancelli dorati del palazzo del Parlamento invaso dalle fiamme. Dopo che il 4 settembre 2025 il governo nepalese aveva deciso di bloccare 26 piattaforme online, infatti, migliaia di persone, soprattutto ragazzi e ragazze della Gen Z, erano scese in piazza per protestare contro quella che considerano una censura e una stretta alla libertà di espressione, accusando politici e istituzioni di corruzione. Le strade si sono riempite di manifestanti, che hanno incendiato la Corte Suprema, il Parlamento e altri palazzi del governo, mentre l’allora primo ministro Khadga Prasad Sharma Oli annunciava le sue dimissioni. Nel caos politico seguito alle dimissioni del premier, i giovani della Gen Z hanno usato la piattaforma Discord per discutere sul futuro del Paese e scegliere una nuova leader ad interim, eleggendo Sushila Karki, ex presidente della Corte Suprema, nominata il 12 settembre prima donna premier del Nepal. E in tutto questo trambusto il teschio con il cappello di paglia era onnipresente. 

Un giovane nepalese di 23 anni, che ha partecipato alle proteste, ha raccontato al media statunitense NPR che «oltre all’intrattenimento, i pirati di Cappello di Paglia simboleggiano la libertà, lo spirito con cui bisogna opporsi all’autorità ingiusta. Questo mi ha davvero ispirato». 

Nel settembre scorso la bandiera è stata usata anche durante le proteste nelle Filippine, quando decine di migliaia di persone sono scese in strada per protestare contro la corruzione del governo. Le manifestazioni sono esplose dopo le accuse secondo cui miliardi di dollari di denaro pubblico sarebbero stati sottratti attraverso falsi progetti di aiuti per le inondazioni. 

Da Manila a Parigi, il simbolo dei pirati di “One Piece” ha presto superato i confini dell’Asia, comparendo anche in diverse piazze europee come emblema di protesta e richiesta di libertà. Il 18 settembre 2025, in Francia, durante una giornata di scioperi e manifestazioni indetta dai sindacati in cui sono scese in piazza migliaia di persone per protestare contro possibili tagli alla spesa pubblica nella prossima legge di bilancio, il Jolly Roger con il cappello di paglia ha fatto la sua apparizione tra le migliaia di bandiere che portavano i colori sindacali o quelli palestinesi. 

Un manga diventato simbolo ribellione e libertà

L’adozione della bandiera di “One Piece” come segno di appartenenza e di resistenza politica non è solo un simbolo ludico e commerciale. Marco Pellitteri, sociologo dei media e dei processi culturali, professore associato di media e comunicazione alla Xi’an Jiaotong-Liverpool University di Suzhou, in Cina, ha spiegato a Facta che l’animazione giapponese è divenuta «una piattaforma transnazionale di pratiche partecipative sia in Occidente sia in Asia». Si tratta cioè di «un dispositivo culturale che consente agli spettatori o almeno ai più coinvolti sui temi dell’etica, della partecipazione civile e dell’anelito al cambiamento sociale, di appropriarsi dei simboli narrativi per costruire discorsi politici e identitari». Secondo Pellitteri le proteste di attivisti, giovani e società civile contro le istituzioni non sono «un semplice fenomeno superficiale, estetico, ma una forma di creatività politica in cui i riferimenti pop agiscono come marcatori di appartenenza e strumenti di rappresentazione delle istanze del cambiamento» o a volte perfino di una forza sovversiva travolgente.

«Ora le persone partecipano alle proteste portando la bandiera per indicare che si riconoscono in una causa comune con quelle altre proteste» ha spiegato a Facta Andrea Horbinski, storica e studiosa di cultura giapponese che ha conseguito un dottorato in storia del Giappone moderno con una specializzazione in nuovi media presso l’Università della California, Berkeley. L’esperta, ha precisato che «la gente porta la bandiera non solo perché la conosce da “One Piece”, ma per segnalare che si riconosce nella causa della protesta». 

Pellitteri, che da oltre vent’anni è uno dei principali studiosi della cultura pop giapponese in Europa, ha aggiunto che si tratta «di un emblema capace attraverso le narrazioni sia comiche sia drammatiche della ciurma del famoso manga/anime, di condensare valori condivisi e tensioni collettive» e secondo lui «l’integrazione fra linguaggio digitale, cultura degli anime e pratiche memetiche costituisce oggi una grammatica comunicativa al passo coi tempi». 

Un giovane manifestante filippino ha spiegato al media nazionale Manila Bulletin che lui e le altre persone scese in piazza riescono a identificarsi col protagonista Monkey D. Rufy, «perché continua a lottare per ciò che è giusto per le persone, anche quando ha meno potere rispetto ai suoi avversari», aggiungendo che nonostante i pirati protagonisti del manga siano un piccolo gruppo, «riescono a unire gli altri attorno a un obiettivo comune». 

Definire il Jolly Roger di “One Piece” come un simbolo di terrore, come ha fatto il Secolo d’Italia, è sbagliato e secondo il sociologo Pellitteri questo avviene sia per ignoranza sul fumetto “One Piece” e più in generale sui simboli grafici, che da sempre sintetizzano e sublimano messaggi complessi nel linguaggio visuale della politica, sia come scusa «per criticare o banalizzare, pretestuosamente, le profonde istanze alla base dei movimenti di piazza, delle proteste, dei sit-in e delle azioni politiche degli attivisti».

“One Piece” è un’opera fiume che dura dal 1997 che nella sua totalità comunica un messaggio di respingimento nei confronti di valori come la corruzione, l’ingiustizia e la crudeltà. Rufy e la sua ciurma si oppongono al “Governo Mondiale” che vuole sopprimere tutti i pirati perché rappresentano una forma di disordine, e che non esitano ad affrontare figure autoritarie corrotte e oppressive che incontrano durante il loro viaggio. Grazie alla sua enorme diffusione e ai messaggi che incarna, secondo Horbinski, «sarebbe sorprendente se non fosse “One Piece”» a essere diventato simbolo di proteste e libertà, «dato che l’anime è ormai parte integrante del panorama mediatico globale per le generazioni più giovani, a partire dai millennial e, ancor di più, dalla Gen Z». 

Altri simboli dell’iconografia pop diventati politici

Le figure eroiche e antieroiche dei manga e degli anime sono diventate, secondo quanto spiegato a Facta da Marco Pellitteri, punti di riferimento identitari e strumenti attraverso cui i giovani hanno potuto elaborare esperienze di appartenenza e di opposizione. «Questo spostamento semantico si iscrive in una più ampia trasformazione dell’immaginario politico», ha continuato il sociologo, «inteso sia come elementi della sua comunicazione estetica sia come aspirazioni e visioni di cambiamento».

La cultura pop come espressione politica non è del tutto una novità, e “One Piece” non è la prima opera di fantasia diventata un simbolo di protesta in varie parti del mondo. Questo, stando ad Andrea Horbinski, succede perché «la cultura pop è un punto di riferimento condiviso tra diversi gruppi di persone» e, negli anni, sono stati utilizzati emblemi legati ad esempio a “Hunger games”, la serie di romanzi di fantascienza distopica e post apocalittica per ragazzi scritta da Suzanne Collins e trasformata poi in una popolare versione cinematografica. La serie include diversi simboli di resistenza, come il celebre saluto a tre dita, un gesto silenzioso di sfida adottato dal personaggio Katniss Everdeen per esprimere solidarietà agli oppressi. Da allora, questo segno è comparso in numerose proteste, a partire dalle manifestazioni contro il colpo di stato militare in Thailandia nel 2014.

O ancora “V per Vendetta”, il film del 2005 diretto da James McTeigue. Il gruppo di hacktivisti “Anonymous” ha iniziato a usare l’iconica maschera di Guy Fawkes, il protagonista del film, per nascondere la propria identità durante le proteste. La maschera è diventata diffusa nel 2011 durante il movimento “Occupy”, una protesta contro la disuguaglianza economica e la corruzione del diritto societario che ha avuto il suo epicentro a New York, ma ha continuato a essere un simbolo del dissenso, rivolgendosi ai sistemi e ai governi corrotti.

Pellitteri ha ricordato che anche in Italia, nel 1997, studenti liceali e universitari scesero in piazza cantando le sigle musicali di Atlas Ufo Robot, cioè il profugo dallo spazio che difende la Terra e un modello morale sempreverde; Capitan Harlock, pirata spaziale del futuro che protegge la Terra da aliene conquistatrici e a dispetto della proterva inerzia del governo mondiale; Lady Oscar, un personaggio fittizio che agisce nel contesto reale della Rivoluzione francese e, inizialmente aristocratica di spada, diventa paladina del popolo e per esso si immola durante la presa della Bastiglia; e altre sigle musicali degli anime famosi in Italia dal 1978 agli anni Novanta. Questo successe non solo sull’onda di una giocosa nostalgia ma «per significare un passaggio di testimone fra i simboli della protesta politica dei loro padri e quelli di una nuova generazione, più disillusa e meglio attrezzata a elaborare dissensi attraverso eroi e simboli propri», ha concluso il sociologo.

Nelle proteste, i riferimenti alla cultura pop diventano segni di appartenenza e modi alternativi di raccontare valori ed etica, usando immagini tratte da fumetti, film o romanzi per creare un senso di appartenenza e dare ancora più forza a battaglie e rivendicazioni.

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