- Circola su Facebook una presunta intervista rilasciata da Paolo Borsellino a maggio 1991 alla trasmissione “Samarcanda” in cui esprime critiche sulla separazione delle carriere dei magistrati.
- È una notizia falsa.
- Il giudice, ucciso in un attentato mafioso il 19 luglio 1992, non risulta aver mai rilasciato una simile intervista né essere mai stato ospite alla trasmissione Rai nel 1991.
Il 1° novembre 2025 su Facebook è stato pubblicato un post con la foto di Paolo Borsellino e una sua presunta dichiarazione. Il magistrato ucciso in un attentato mafioso il 19 luglio 1992 a Palermo insieme a cinque agenti della sua scorta avrebbe dichiarato: «Separare le carriere significa spezzare l’unità della magistratura. Il magistrato requirente deve poter svolgere la sua funzione senza dover rendere conto al potere politico».
L’immagine è accompagnata da un testo che riproduce un articolo dello stesso giorno del Fatto Quotidiano intitolato “Meloni si ispirava a Borsellino: con la separazione delle carriere l’ha tradito”, in cui si legge che l’affermazione in questione sarebbe stata pronunciata da Borsellino nel corso di un’intervista alla trasmissione Rai Samarcanda, condotta da Michele Santoro, del 23 maggio 1991.
È una notizia infondata.
Il mese scorso, a ottobre 2025, il Senato ha approvato in via definitiva la riforma della giustizia del governo Meloni, che nel 2026 verrà sottoposta a un referendum confermativo. Nel testo di legge, tra le varie disposizioni, è prevista la separazione delle carriere dei magistrati che stabilisce che all’inizio della carriera il magistrato debba scegliere se diventare requirente, cioè un pubblico ministero, o giudicante, ovvero un giudice di tribunali e corti. Attualmente, invece, un magistrato può cambiare funzione, ma una volta sola entro i primi dieci anni. In base quindi all’articolo del Fatto Quotidiano, Giorgia Meloni, che ha dichiarato che il suo impegno politico è iniziato dopo l’attentato contro Borsellino, avrebbe “tradito” il magistrato perché questo, in base all’intervista rilasciata a Samarcanda nel 1991 sarebbe stato contrario alla separazione delle carriere.
La frase riportata dal Fatto Quotidiano attribuita a Paolo Borsellino non trova però alcun riscontro. Inoltre, consultando l’archivio Rai, si può vedere che nel 1991 il giudice non risulta essere mai stato ospite della trasmissione di Michele Santoro. La falsa notizia è stata smentita anche dai colleghi di Open e dal quotidiano Il Dubbio. Questa frase attribuita al magistrato ucciso in un attentato mafioso risulta comparire online per la prima volta in un articolo pubblicato il 23 luglio 2025 su La Notizia, a firma di Giulio Cavalli, scrittore e opinionista politico. L’articolo è stato poi modificato il 12 novembre 2025 togliendo quella dichiarazione perché una successiva verifica da parte della redazione non ha trovato collegamenti certi che la colleghino al magistrato.
Il 13 novembre 2025 il Fatto Quotidiano ha ammesso l’errore. Sul sito del quotidiano diretto da Marco Travaglio e Peter Gomez è stato però pubblicato un altro articolo il 12 novembre 2025 in cui si riporta un’altra citazione di Paolo Borsellino tratta dal libro “Paolo Borsellino, oltre il muro dell’omertà. Scritti su verità, giustizia e impegno civile” che raccoglie una serie di scritti del giudice, che risulta critico sulla separazione delle carriere. «Le ricorrenti tentazioni del potere politico, quali ne siano le motivazioni, di mortificare obiettivamente i magistrati del pm, prefigurandone il distacco dall’ordine giudiziario, anche attraverso il primo passo della definitiva separazione delle carriere non incoraggiano certo i ‘giudici’, che tali tutti sentono di essere, a indirizzare verso gli uffici di Procura le loro aspirazioni», si legge.
Pagella Politica, sentendo diversi esperti, ha però ricostruito che le dichiarazioni di Borsellino sul tema sono poche e appartengono a un diverso contesto giudiziario, non consentendo di dedurre una posizione chiara sulla riforma proposta dal governo Meloni. Ad esempio, riguardo alla frase di Borsellino presente nel libro, i colleghi scrivono che «tra gli anni Ottanta e Novanta, la magistratura stava passando dal vecchio sistema inquisitorio al nuovo modello accusatorio, introdotto con il nuovo codice di procedura penale del 1988, promosso dall’allora ministro della Giustizia Giuliano Vassalli». Al riguardo Marco Fioravanti, docente di Storia del diritto all’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ha specificato sempre a Pagella Politica che «fino a quel momento era ancora in vigore un sistema in parte inquisitorio, in cui il pubblico ministero effettivamente aveva un potere molto superiore rispetto alle parti. Fino ad allora, con il vecchio sistema il processo era di fatto squilibrato con un pubblico ministero con ampi poteri». Quindi, concludono i colleghi, le valutazioni di Borsellino riguardavano soprattutto gli effetti immediati del nuovo codice, non una riforma costituzionale come quella varata oggi.
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