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Gli influencer complottisti sono i nuovi media ufficiali della Casa Bianca di Trump

La nuova amministrazione statunitense si sta circondando di influencer estremisti e complottisti che fanno il tifo per il presidente

7 marzo 2025
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Lo scorso 27 febbraio, 15 influencer trumpiani e di estrema destra sono stati invitati dalla Casa Bianca per una serie di incontri con figure di spicco della nuova amministrazione.

Dopo aver parlato con la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt e il vicepresidente JD Vance, agli influencer sono stati consegnati dei corposi faldoni bianchi dalla procuratrice generale Pam Bondi e dal direttore dell’FBI Kash Patel.

La scritta sulla copertina recitava «The Epstein Files: Phase 1» («I documenti di Epstein: fase 1»). Dentro, almeno stando alle rassicurazioni dei due, avrebbero dovuto esserci documenti inediti e declassificati sul caso di Jeffrey Epstein, il ricco finanziere che si è suicidato in carcere nel 2019 mentre era accusato di numerosi abusi sessuali, sfruttamento della prostituzione e tratta di esseri umani.

Epstein era stato già condannato nel 2008 per reati sessuali su minori, commessi tra gli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila nelle sue abitazioni di lusso a Manhattan, Palm Beach (Florida) e sull’isola di Little St. James nelle Isole Vergini statunitensi. La vicenda del finanziere, che amava circondarsi di celebrità e persone potenti, è da anni al centro di svariate teorie del complotto provenienti soprattutto da destra.

Le più gettonate parlano di presunti insabbiamenti da parte delle autorità governative, dei Clinton come mandanti dell’omicidio (poi fatto passare per suicidio), di indicibili coperture da parte del Partito Democratico, e dell’esistenza di fantomatiche «liste clienti» che proverebbero l’esistenza di una cricca di celebrità di orientamento liberal dedita alla pedofilia, una fantasia che si sovrappone alla narrazione sui «pedofili satanisti» del movimento complottista di QAnon. Donald Trump, che è stato un ottimo amico di Epstein e in un’intervista l’ha descritto come un «tizio fantastico», non compare mai in queste speculazioni.

Tutte queste teorie – che si fondano sui documenti dei processi civili e penali contro Ghislaine Maxwell, ex compagna e complice di Epstein condannata a 20 anni di carcere – o sono state smentite o sono del tutto infondate. In particolare, come ha scritto la giornalista Julie K. Brown sul Miami Herald, «non ci sono prove che Epstein tenesse un registro o un elenco dei clienti coinvolti nei suoi crimini».

Molti degli influencer presenti all’incontro alla Casa Bianca hanno costruito buona parte del loro successo diffondendo falsità sul caso Epstein. Tra questi c’erano infatti gli estremisti di destra Mike Cernovich e Jack Posobiec, due tra i principali promotori del Pizzagate, la falsa teoria secondo cui importanti esponenti democratici organizzavano rituali satanici negli scantinati della pizzeria Comet Ping Pong a Washington D.C.; e Chaya Raichik, che gestisce l’account estremista e omolesbobitransfobico “Libs of TikTok”.

Tuttavia, com’è emerso piuttosto in fretta, il faldone di Bondi e Patel non conteneva nulla di nuovo. Al contrario: si trattava di documenti noti e disponibili in rete da anni. L’ha ammesso su X anche Liz Wheeler, una influencer presente all’incontro: «Stiamo ancora in attesa delle cose davvero succulente, di cui però non c’è traccia in questi faldoni».

La stessa distribuzione dei documenti è stata gestita in maniera caotica e confusionaria. Anche se gli influencer si sono fatti fotografare fuori dalla Casa Bianca mentre esibivano trionfanti i faldoni, Bondi non voleva che la notizia diventasse di pubblico dominio.

Secondo un articolo di ABC News, la vicenda dei faldoni ha creato non pochi malumori all’interno dell’amministrazione e dello stesso movimento MAGA (acronimo dello slogan trumpiano «Make America Great Again»).

Bondi a sua volta ha accusato l’FBI di non aver consegnato tutte le carte dell’inchiesta, mentre su X ci sono state diverse polemiche contro gli influencer invitati alla Casa Bianca.

La guerra alla stampa della Casa Bianca trumpiana

In particolare, ad essere stata messa in discussione è la loro reale indipendenza. Nel presentare i faldoni come una specie di scoop giornalistico, alcuni influencer hanno ripetuto parola per parola le dichiarazioni di Bondi, prestandosi così a un’evidente operazione propagandistica calata dall’alto per screditare l’opposizione.

«Che differenza c’è con quello che fanno i media tradizionali?», si è chiesto provocatoriamente su X Tony Kinnet, redattore della testata ultraconservatrice The Daily Signal.

Ma il punto è proprio questo: questi influencer fanno parte del nuovo ecosistema mediatico ufficiale del trumpismo. L’ha riconosciuto esplicitamente anche la portavoce Karoline Leavitt. «Il panorama dei media è cambiato», ha scritto su X, «e la Casa Bianca di Trump si sta comportando di conseguenza!»

La vicenda dei faldoni di Epstein è il frutto di un netto cambiamento nei rapporti con la stampa, molto più conflittuale rispetto a quello già piuttosto riottoso del primo mandato.

La stessa Leavitt – che prima di essere nominata a portavoce si faceva pagare per scrivere articoli celebrativi del truffatore cinese Guo Wengui – ha annunciato nel corso della sua prima conferenza stampa che i creator di contenuti e i «nuovi media» sarebbero stati i benvenuti, mentre per i «media tradizionali» la musica sarebbe stata diversa.

«Sappiamo per certo che molti media hanno pubblicato bugie su questo presidente e sulla sua famiglia, e non lo accetteremo più», aveva minacciato la portavoce. «Vi correggeremo ogni volta che farete un servizio sbagliato o diffonderete disinformazione su questa amministrazione».

La prima organizzazione giornalistica ad averne fatto le spese è stata l’Associated Press. L’agenzia di stampa è stata bandita dallo Studio Ovale e dall’Air Force One (l’aereo presidenziale) per essersi rifiutata di usare la nuova e controversa denominazione del golfo del Messico, che un ordine esecutivo di Trump ha ribattezzato «golfo d’America».

Il 25 febbraio del 2025 la Casa Bianca ha poi annunciato che assumerà il controllo del piccolo gruppo di giornalisti ammessi a seguire il presidente negli spazi ristretti. Il pool, com’è chiamato in gergo, ha il compito di riferire le sue azioni e dichiarazioni ai colleghi che non sono possono essere fisicamente presenti.

La selezione di chi ne fa parte è sempre stata gestita dai mezzi d’informazione attraverso l’associazione indipendente dei corrispondenti della Casa Bianca (White House Correspondents’ Association, WHCA), fondata nel 1914.

Nel giustificare la mossa, Leavitt ha detto che «stiamo restituendo il potere al popolo». Di contro, la WHCA ha denunciato in un comunicato che «in un paese libero non sono le autorità a scegliersi i giornalisti». 

Il complottismo come propaganda di Stato

Il giornalista del New York Times Peter Baker ha tracciato un parallelo tra l’approccio della Casa Bianca trumpiana e le prime misure esplicitamente autoritarie di Vladimir Putin. «Avendo lavorato come corrispondente da Mosca nelle prime fasi del regno di Putin», ha scritto su X, «l’episodio mi fa venire in mente che anche lui si era assicurato che solo i giornalisti compiacenti potessero accedere al Cremlino».

Il messaggio lanciato, ha proseguito Baker, non potrebbe essere più chiaro: «visto che la Casa Bianca ha già cacciato un’organizzazione dal pool, sta facendo sapere a tutti gli altri che si può venire esclusi se al Presidente non piacciono le nostre domande o i nostri articoli».  

Al posto di certe organizzazioni giornalistiche, per l’appunto, l’amministrazione trumpiana sta dando sempre più spazio a influencer complottisti e media di estrema destra allineati al movimento MAGA.

Come ha sottolineato la giornalista Anna Merlan sulla rivista Mother Jones, nella sala stampa della Casa Bianca è stata accreditata Natalie Winters, collaboratrice del podcast di Steve Bannon War Room. Anche Winters, come Leavitt, è stata pagata da Guo per scrivere articoli celebrativi.

La piattaforma di streaming di Mike Lindell, un imprenditore filotrumpiano che ha rilanciato le teorie del complotto sugli inesistenti brogli elettorali alle presidenziali del 2020, ha ben due corrispondenti alla Casa Bianca. Chris Pavlovski, l’amministratore delegato di Rumble (un’alternativa di estrema destra a YouTube) è stato invitato ad assistere a una conferenza stampa, in cui Leavitt l’ha elogiato per essersi opposto alla «censura di Big Tech».

Oltre alla Casa Bianca, l’accesso è stato esteso anche ad altri rami del governo statunitense. Il Pentagono ha escluso organizzazioni come New York Times, Politico e NBC per rimpiazzarle con l’emittente di ultradestra One America News Network e il sito estremista Breitbart News.

Il suprematista Jack Posobiec è stato invitato alla prima visita ufficiale in Europa del nuovo segretario alla difesa Pete Hegseth, e ha accompagnato il segretario del tesoro Scott Bessent nel suo viaggio in Ucraina.

La giornalista Lara Logan – che è su posizioni talmente estreme da essere stata cacciata da Fox News – ha invece partecipato a un incontro organizzato dal Dipartimento di Stato, in cui ha parlato per diversi minuti prendendosela con USAid, l’agenzia federale di aiuti umanitari che Trump e Musk vogliono smantellare.

Per Margaret Sullivan, direttrice del Craig Newmark Center for Journalism Ethics and Security alla Columbia University, queste figure hanno poco o nulla a che fare con il giornalismo. «Sono più che altro dei propagandisti che non si occupano di cosa fa l’amministrazione, ma fanno soltanto il tifo per Trump», ha detto a Mother Jones.

La Casa Bianca trumpiana si sta dunque creando dei veri e propri media di Stato, che – sottolinea la giornalista Anna Merlan – «esibiscono una fedeltà assoluta» al Presidente e «si assicurano che ogni sua mossa venga accolta da una entusiastica pseudo-copertura giornalistica».

In altre parole, insomma, gli influencer e i media trumpiani stanno facendo tutto ciò che hanno sempre imputato ai loro avversari: rinunciare al proprio spirito critico per amplificare acriticamente la propaganda del potere.

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