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Come “il maranza” è diventato uno stereotipo razzista

I giovani di periferia sono diventati il centro del dibattito politico sulla sicurezza, ma il fenomeno è in gran parte mediatico

21 novembre 2025
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All’ultimo esame per diventare giornalista professionista, tenutosi a Roma il 28 ottobre 2025, una delle tracce proposte chiedeva di scrivere un articolo sul «fenomeno preoccupante» delle «violenze indiscriminate dei maranza» durante le manifestazioni a sostegno della Palestina del 3 ottobre 2025. La traccia non mancava di associare questo «tipo di giovani» alla violenza e di sottolinearne la loro componente etnica: «figli di immigrati […] molto spesso di origine africana». 

Nei giorni immediatamente seguenti la prova, 129 giornalisti hanno presentato un esposto all’Ordine dei giornalisti per sottolineare come la traccia del testo fosse da un lato discriminatoria e dall’altro contraria ai principi deontologici giornalistici. La traccia è stata ritenuta problematica perché, tra le altre cose, «rende l’origine etnica un fattore esplicativo del comportamento deviante, una logica che contrasta con la Carta di Roma (il protocollo deontologico dedicato all’informazione su richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti, ndr), con la Carta dei Doveri del Giornalista e con i principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione», si legge nell’esposto. Inoltre, il testo «normalizza uno stereotipo linguistico (“maranza”) che nei fatti è diventato una categoria stigmatizzante, usata per etichettare e marginalizzare adolescenti delle periferie, in particolare con background migratorio». Uno stigma che nasce anche dall’incapacità storica di definire il modo di comportarsi e di essere dei giovani, soprattutto se di periferia.

Screenshot della traccia dell’esame professionalizzante per l’Ordine dei Giornalisti del 28 ottobre 2025

Dalla prima attestazione all’uso odierno di “maranza”


 Del resto, la parola “maranza” sembra essere stata usata fin dall’inizio per descrivere giovani che ostentano un atteggiamento ribelle alle norme. Stando all’Accademia della Crusca, la prima attestazione risale al 1988 e al cantautore italiano Jovanotti, che all’epoca in Italia era visto male in quanto rappresentava l’immagine dirompente dei giovani disinteressati ai valori e la cui priorità era solamente divertirsi. Nella canzone Il capo della banda, infatti, Jovanotti usa la parola “maranza” come sinonimo di tamarro/coatto: qualcuno che se ne infischia delle norme, e fa quello che gli piace. 

Oggi, sempre secondo la Crusca, si tratta di giovani che «ostentano atteggiamenti da strada, particolari gusti musicali, capi d’abbigliamento e accessori appariscenti e un linguaggio spesso volgare». In “La periferia vi guarda con odio. Come nasce la fobia dei maranza”, l’autore Gabriel Seroussi racconta che l’accezione razziale alla parola è stata affibbiata per la prima volta nel 2009: in quell’anno alcuni gruppi di estrema destra aprono un gruppo Facebook dalle tinte neo-naziste, impegnati «per quelli che dicono no ai maranza» e contro la presunta invasione degli stranieri a Milano. Negli anni questa connotazione si acuisce, e nel 2020 il “maranza” esplode su Twitch durante l’emergenza sanitaria legata alla pandemia di Covid-19. Su TikTok avviene poi l’ascesa di questo fenomeno, con alcuni creator che si riconoscono come “maranza” rivendicando il fatto di essere “giovani, di periferia e non bianchi”. 

È solo nel 2022, ricostruisce il libro di Seroussi, che questo termine tracima dal mondo social, esce dalla sfera prettamente giovanile e arriva nel discorso politico e sui giornali. Questo per via di alcuni fatti di cronaca, come il raduno di Peschiera del Garda nell’estate di quell’anno con la presenza circa 2mila ragazzi e ragazze, di cui molti minorenni, molti di origine nordafricana, organizzato su TikTok e finito in risse e scontri con la polizia. 

L’uso del termine diventa virale: la ricerca su Google della parola “maranza” impenna e alcuni esponenti politici iniziano a parlarne in relazione alla presunta emergenza delle “baby gang”, legando al termine anche una connotazione securitaria. Tra questi sicuramente Silvia Sardone, europarlamentare della Lega che negli ultimi anni ha fatto della retorica su “maranza” e “baby gang” uno dei suoi punti forti sui suoi account social media. In realtà, sulle cosiddette “baby gang” paventate come una minaccia alla sicurezza circolano da tempo luoghi comuni e falsi miti che hanno alimentato una narrazione infondata secondo cui sarebbero un’emergenza nazionale. Come rivela un rapporto di Transcrime del 2022, la criminalità giovanile in Italia è in diminuzione, e la presunta connotazione etnica di questi gruppi di giovani, che viene così spesso data per scontata, è smentita dal fatto che nelle “gang giovanili” ci sono anche italiani.

Screenshot dall'account X dell'europarlamentare Silvia Sardone

A prescindere dai dati però, negli ultimi anni si è però sviluppata una vera e propria fobia nei confronti dei cosiddetti “maranza”. Una fobia che, scrive Seroussi in La periferia vi guarda con odio, non è nient’altro che «reazione di rigetto di fronte a cambiamenti demografici e culturali che sono già pienamente in atto in Italia».

Più che essere un problema urgente e concreto per la sicurezza, in realtà, il “maranza” sembra essere a tutti gli effetti un’estetica, con tute Adidas, scarpe Nike TN e borsello Gucci. Se si cerca la parola “maranza” su TikTok, ad esempio, appaiono moltissime immagini di ragazzi vestiti con tute Adidas o Lacoste, che rivendicano le loro origini non italiane e ostentano l’atteggiamento strafottente tipico del “tamarro/coatto”. Alcuni di loro fanno riferimento anche ad azioni tipiche della criminalità, mentre altri ironizzano sul fatto di essere chiamati maranza «solo perché indossano le TN».

Screenshot della ricerca “maranza” su TikTok, 20 novembre 2025

Un altro elemento fondamentale alla base dei riferimenti estetici e culturali dei maranza, aggiunge Gabriel Seroussi a Facta, è la musica trap e rap, che è quella in cui i «contesti marginali e periferici trovano espressione», anche se a volte in modalità esasperata. Esempio di questa esasperazione sono alcuni content creator che si identificano in questo trend, come “Don Alì”, tiktoker 24enne il cui nome è Said Alì che si autodefinisce “il capo dei maranza” e al momento rischia un processo per aver diffuso sui propri canali social un video in cui, insieme ad altre persone, minaccia un maestro per strada, accusandolo senza prove di aver picchiato un bambino. Incalzato da Luigi Pelazza del programma televisivo “Le Iene”, Don Alì ha detto: «Tutto quello che vedete sui social è un lavoro, è un personaggio. Devi fare il matto così la gente ti guarda, ma c’è differenza, perché la gente poi paga conseguenze». 

 Da meme a campagna politica


È proprio quest’estetica esasperata ed esageratamente sbruffona che rende “il maranza” un target facile sui social e non, e che nel corso degli ultimi due anni lo ha fatto diventare un meme. Anche attraverso i meme viene veicolata la narrazione mediatica che inquadra i maranza attraverso una lente che evidenzia due particolari connotati, come ha spiegato Seroussi a Facta: di classe sociale e di razza. 

A novembre 2025, la pagina Instagram di Ryanair Italia ha pubblicato un post in cui diceva che si riservava il diritto di non servire chi indossa tute da “maranza”. Il post ha scatenato un’ondata di commenti razzisti e riferimenti alla “remigrazione”, parola con cui l’estrema destra indica una deportazione forzata delle persone “non europee” ai loro Paesi d’origine. 

Nelle reti dell’estrema destra, infatti, i maranza sono diventati il capro espiatorio dei disordini cittadini, pensiero che aveva portato alcuni gruppi estremisti a un tentativo di organizzazione per effettuare delle ronde “anti-maranza”. Il collettivo @immigrital1, che su su Instagram si descrive come un gruppo di «giovani di origine migrante e operaia», aveva così commentato il piano: «il loro scopo non è quello di proteggere le persone, ma di difendere un ordine sociale razzista e classista in cui le periferie devono restare ghetti e chiunque esca dal ruolo assegnato deve essere punito». 

L’associazione della criminalità ai maranza e ai contesti marginali in cui crescono viene portata avanti anche a livello politico, sia a destra che a sinistra. Ad aprile 2025, il sindaco di Milano Beppe Sala, infatti, aveva parlato di “maranza” per definire le decine di giovani arrestati in una grossa operazione di polizia condotta in città. Anche le principali testate nazionali ricalcano questa retorica. La normalizzazione mediatica e politica di termini razzializzanti come “maranza”, quindi, è un problema nel momento in cui restituisce una visione estremamente semplicistica della società in cui questi giovani “di seconda generazione” rappresenterebbero il vero problema alla sicurezza in Italia.

La componente etnica, infatti, è risultata fondamentale a livello mediatico e politico per circoscrivere chi è un maranza e chi non lo è. Per descrivere i responsabili dell’aggressione avvenuta il 12 ottobre scorso ai danni dello studente 22enne su Corso Como, a Milano, nessuna testata giornalistica ha parlato di “maranza”. Infatti, il principale responsabile delle coltellate inflitte alla vittima è un giovane italiano bianco proveniente da una “famiglia perbene”, che semmai ha «pose da maranza», riporta il Corriere della Sera Milano, senza però necessariamente essere categorizzato come tale. 

Screenshot di due titoli sulla questione pubblicati dal Corriere della Sera Milano il 20 novembre 2025

Secondo Seroussi, un’esasperazione della narrazione che associa i maranza alla violenza si è riscontrata nelle manifestazioni a sostegno della causa palestinese del 3 ottobre 2025. Varie testate nazionali (e la traccia dell’esame professionalizzante dell’Ordine dei giornalisti, come già accennato) hanno parlato di violenza associando i “maranza” ai “teppistelli dei centri sociali”. Questa presunta coalizione tra giovani esclusi per ragioni di classe e di razza (i maranza) e giovani attivisti di sinistra (i centri sociali) è spesso paventata dalla destra in Italia, e Seroussi la sottolinea come particolarmente preoccupante perché, pur essendo infondata ed estremamente conservatrice, è stata completamente sdoganata e ha raggiunto le prime pagine dei quotidiani nazionali. 

Intervistato da Fanpage, il docente di sociolinguistica all’Università degli Studi di Milano Federico Boni ha sottolineato che la narrazione politica e mediatica che prende di mira i maranza «ha l’effetto di creare panico e di individuare un nemico pubblico». In particolare, il ricercatore ha sostenuto che in questo senso il maranza è perfetto perché «già si propone come tale» e in contrasto con le norme prestabilite, le quali reiterano un tipo di esclusione sistemica classista e razziale di cui spesso questi giovani rimangono vittime. 

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