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I ricavi miliardari di Meta con le pubblicità di truffe e prodotti vietati

L’azienda ha espresso timori per il proprio business nel caso di un contrasto drastico di questa tipologia di annunci, secondo documenti interni visionati da Reuters

13 novembre 2025
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Precisiamo che Facta riceve fondi da Meta all’interno del suo Third Party Fact-checking Program.

Nel 2024 Meta ha registrato un fatturato complessivo di oltre 164,5 miliardi di dollari. Internamente, alla fine dello scorso anno, l’azienda guidata da Mark Zuckerberg aveva previsto che circa il 10 per cento di questa cifra, vale a dire 16 miliardi di dollari, sarebbero arrivati dalle inserzioni pubblicitarie sulle proprie piattaforme social di truffe e prodotti vietati. 

Questo è quanto emerso da una recente inchiesta di Reuters, basata sull’analisi di documenti dell’azienda di Menlo Park mai pubblicati finora.

Cosa dicono i documenti interni di Meta

I documenti esaminati dall’agenzia di stampa britannica dimostrano che «per almeno tre anni il gigante dei social media non è riuscito a identificare e fermare una valanga di annunci pubblicitari che hanno esposto miliardi di utenti di Facebook, Instagram e WhatsApp a schemi fraudolenti di e-commerce e investimenti, casinò online illegali e alla vendita di prodotti medici vietati». In molti casi le segnalazioni da parte di utenti delle truffe attive sulle proprie piattaforme non hanno ricevuto risposta.

In particolare, da due documenti datati dicembre 2024 e citati nell’inchiesta è emerso che ogni giorno in media sulle piattaforme di Meta vengono mostrati circa 15 miliardi di annunci pubblicitari “ad alto rischio”, cioè che presentano chiari segni di frode, e che da questa categoria di annunci la società guadagna ogni anno circa 7 miliardi di dollari.

Gran parte delle frodi analizzate è stata effettuata da operatori di marketing segnalati dai sistemi di avviso interni di Meta per aver agito con modalità sospette. I documenti visionati da Reuters mostrano tuttavia che la società esclude gli inserzionisti dalla possibilità di pubblicizzare i loro contenuti «solo se i suoi sistemi automatizzati prevedono che gli operatori di marketing abbiano almeno il 95 per cento di certezza di commettere una frode».  «Se l’azienda ha meno certezza, ma ritiene comunque che l’inserzionista sia un probabile truffatore, Meta applica tariffe pubblicitarie più elevate come sanzione. L’obiettivo è di dissuadere gli inserzionisti sospetti dal pubblicare annunci», continua l’inchiesta.

I documenti indicano che le analisi condotte da Meta hanno suggerito che le sue piattaforme siano diventate un pilastro dell’economia globale delle frodi. L’azienda internamente ha inoltre riconosciuto che altre società concorrenti stavano svolgendo un lavoro migliore nel contrasto alle frodi sulle proprie piattaforme. In una revisione interna di aprile 2025 si leggeva ad esempio: «È più facile pubblicizzare truffe sulle piattaforme Meta che su Google». Contattato da Reuters, Sandeep Abraham, esperto di frodi digitali ed ex investigatore della sicurezza di Meta, ha dichiarato che il fatto che Meta accetti entrate da fonti sospettate di frode evidenzia la mancanza di controllo normativo nel settore pubblicitario. «Se le autorità di regolamentazione non tollerano che le banche traggano profitto dalle frodi, non dovrebbero tollerarlo nel settore tecnologico», ha detto Abraham.

La risposta dell’azienda americana

Il portavoce di Meta, Andy Stone, ha replicato a Reuters che i documenti citati nell’inchiesta «presentano una visione selettiva che distorce l’approccio di Meta a frodi e truffe». Inoltre, continua Stone, la stima interna secondo cui il 10 per cento dei suoi ricavi nel 2024 deriverebbe da truffe e altre pubblicità vietate era «approssimativa ed eccessivamente al rialzo» poiché avrebbe incluso anche «molti» annunci legittimi. Successivamente l’azienda ha stabilito che la cifra effettiva dei ricavi da queste pubblicità fraudolente era inferiore. Meta non ha voluto fornire ai giornalisti dell’agenzia la percentuale ritenuta corretta. 

Stone ha poi aggiunto: «Combattiamo con forza frodi e truffe perché le persone sulle nostre piattaforme non vogliono questi contenuti, gli inserzionisti legittimi non li vogliono e nemmeno noi». Il portavoce ha inoltre comunicato questi risultati: «Negli ultimi 18 mesi abbiamo ridotto del 58 per cento le segnalazioni di annunci pubblicitari truffaldini da parte degli utenti a livello globale e, finora nel 2025, abbiamo rimosso più di 134 milioni di contenuti pubblicitari truffaldini».

Le attenzioni su Meta e il timore di perdere ricavi

Le autorità di regolamentazione degli Stati Uniti e del Regno Unito stanno indagando Meta per la pubblicazione di annunci pubblicitari a sostegno di truffe finanziarie. Reuters scrive che nei documenti interni visionati, Meta ha valutato «i costi per rafforzare l’applicazione delle misure di controllo sulle pubblicità truffaldine rispetto al costo delle sanzioni finanziarie imposte dai governi per non aver protetto i propri utenti». L’azienda statunitense punta da una parte a ridurre in futuro il flusso di denaro derivante da frodi e dalla vendita di prodotti vietati, ma dall’altra, in base a un documento del 2025, teme che forti riduzioni dei ricavi derivanti da pubblicità fraudolente possano influire negativamente sul proprio business. 

L’agenzia di stampa scrive così che «Meta ha riconosciuto internamente che le sanzioni normative per gli annunci truffa sono certe e prevede sanzioni fino a 1 miliardo di dollari, secondo un documento interno». Queste multe, tuttavia, sarebbero comunque meno dei ricavi derivanti da annunci truffa, si legge in un altro un documento interno di novembre 2024, in quanto ogni sei mesi il guadagno per Meta solo dagli annunci che «presentano un rischio legale più elevato» (ad esempio quelli quelli che affermano falsamente di rappresentare un marchio o fingono di essere un personaggio pubblico) risulta essere di 3,5 miliardi di dollari. 

Nello stesso documento, continua Reuters, «invece che accettare volontariamente di fare di più per controllare gli inserzionisti, la dirigenza dell’azienda ha deciso di agire solo in risposta a un’imminente azione normativa». Su questo aspetto il portavoce di Meta, Stone, ha controbattuto che quanto riportato in quel documento, cioè che Meta agirebbe solo se costretta, non è in realtà la politica dell’azienda.  

Nella sua inchiesta l’agenzia di stampa riporta anche che l’azienda ha imposto dei limiti sulle perdite di fatturato per il contrasto agli inserzionisti sospetti: «Nella prima metà del 2025, si legge in un documento di febbraio, al team responsabile della verifica degli inserzionisti sospetti non è stato consentito di intraprendere azioni che avrebbero potuto costare a Meta più dello 0,15 per cento del fatturato totale dell’azienda. Ciò equivale a circa 135 milioni di dollari sui 90 miliardi di dollari generati da Meta nella prima metà del 2025». Al riguardo Stone ha detto che la cifra dello 0,15 per cento proveniva da un documento di proiezione dei ricavi e non era un limite massimo.

Nell’ottobre dello scorso anno, mentre l’azienda subiva crescenti pressioni per intensificare gli sforzi per contrastare le truffe, i dirigenti di Meta hanno presentato all’amministratore delegato Zuckerberg un piano definito “un approccio moderato” all’applicazione delle misure anti-truffa, continua sempre Reuters: «Invece di una rapida repressione, l’azienda avrebbe concentrato i suoi sforzi sui Paesi in cui temeva un’azione normativa a breve termine, secondo un documento che delineava la strategia». 

Come mostrano i documenti interni, la decisione al termine dell’incontro era stata quella di provare a ridurre la percentuale di fatturato attribuibile alle truffe, al gioco d’azzardo illegale e alla vendita di prodotti proibiti «da una stima del 10,1 per cento nel 2024 al 7,3 per cento entro la fine del 2025». Entro il 2026, Meta avrebbe poi puntato a ridurre ancora questa percentuale di guadagni arrivando al 6 per cento e poi al 5,8 per cento nel 2027. 

Nel 2024 Meta ha introdotto un nuovo approccio nella gestione degli annunci per cercare di ridurre nelle proprie piattaforme le pubblicità di truffe, facendo pagare di più agli inserzionisti che secondo sistemi automatizzati dell’azienda hanno maggiore probabilità di diffondere frodi. Stone ha dichiarato a Reuters che nei mesi successivi all’attuazione di queste sanzioni è stato rilevato sia un calo delle segnalazioni di truffe sia un leggero calo delle entrate pubblicitarie complessive.

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