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Sì, secondo una ricerca i sosia potrebbero avere somiglianze genetiche

Sì, secondo una ricerca i sosia potrebbero avere somiglianze genetiche

14 settembre 2022
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Il 26 agosto 2022 L’Agi (Agenzia giornalistica italia) ha pubblicato su Facebook un post in cui si legge “Non gemelli, ma con geni condivisi o parte della sequenza del Dna identica. È quanto emerge da uno studio su 32 coppie di persone molto simili. La ricerca potrà essere utile a prevenire malattie”. Il contenuto è accompagnato da un articolo dell’agenzia, secondo il quale dei ricercatori dell’Università di Barcellona avrebbero constatato che i sosia, ossia le persone straordinariamente somiglianti fisicamente tra di loro (tanto da poter generare scambi di identità), potrebbero avere forti legami genetici anche senza essere parenti.

Sebbene possa sembrare una correlazione curiosa, la notizia è vera.

Lo studio “Look-alike humans identified by facial recognition algorithms show genetic similarities” è stato pubblicato su Cell Reports, rivista scientifica fondata nel 2012 che pubblica articoli di ricerca in un’ampia gamma di discipline nell’ambito delle scienze della vita. Il team guidato dal genetista Manel Esteller ha messo a confronto 32 coppie di sosia, selezionate tra quelle fotografate dall’artista canadese François Brunelle. Il fotografo di Montreal ha girato il mondo per anni per realizzare il progetto “I’m not a look-alike” (in italiano, “Non sono un sosia”). Affascinato dal fatto che individui completamente estranei possano essere esteticamente tanto simili, ha creato una raccolta di fotografie in bianco e nero di sosia che, al momento in cui scriviamo, vanta più di 200 scatti.

Esteller e la sua squadra di  ricercatori hanno deciso di studiare  la correlazione dei tratti genetici di persone che condividessero una oggettiva somiglianza dei tratti del viso, partendo dai soggetti degli scatti del fotografo. Il grado di somiglianza dei volti dei partecipanti è stato misurato con un software di riconoscimento facciale, mediante l’utilizzo di tre diversi algoritmi; sono stati selezionati sistemi diversi per poterne confrontare i risultati e  misurare con maggiore accuratezza la somiglianza oggettiva delle coppie.  I modelli utilizzati hanno milioni di parametri appresi e sono stati esercitati con milioni di immagini facciali di migliaia di soggetti. Ciascun software ha fornito un punteggio di somiglianza facciale compreso tra 0 e 1, dove 1 è la stessa immagine facciale e 0 è due entità diverse.

Il numero di coppie considerate correlate da almeno due dei modelli facciali è stato molto alto (25 su un totale di 32). In particolare, 16 delle 32 (il 50 percento delle coppie sosia), sono state abbinate da tutti e tre i sistemi di riconoscimento facciale. I punteggi di somiglianza di queste 16 coppie sono risultati simili a quelli ottenuti da gemelli monozigoti, utilizzati come parametro di riferimento per il punteggio di somiglianza elevato.

I ricercatori hanno inoltre prelevato i campioni di Dna delle 32 coppie ed hanno sottoposto loro un questionario biometrico sullo stile di vita (avente ad oggetto, ad esempio, l’abitudine al fumo, la pratica di esercizio fisico, la dieta o il livello di educazione). Analizzandone il Dna, si è potuto rilevare che rispetto alle altre 16 coppie di sosia, le coppie ritenute più somiglianti dal programma avevano anche molti più geni in comune. Si è così rafforzata l’ipotesi che queste persone potrebbero essere simili perché hanno in comune parti importanti del loro genoma, ovvero la sequenza del Dna. La somiglianza avrebbe invece meno a che fare con l’ambiente nel quale sono cresciuti: Esteller ha infatti scoperto che i genomi dei sosia hanno molto in comune, ma i loro epigenomi (cioè il livello di attivazione dei geni influenzato dalle nostre esperienze vissute e da quelle dei nostri antenati) e microbiomi (ovvero l’insieme del patrimonio genetico di microrganismi, composto da batteri, funghi e virus) sono diversi e sono entrambi influenzati dall’ambiente.

Infine, è risultata per le coppie più simili una maggiore correlazione nei tratti fisici come il peso e l’altezza, oltre che in alcuni schemi comportamentali appresi grazie ai questionari. Questo ha portato a riflettere sul fatto che la variazione genetica condivisa potrebbe influenzare anche abitudini e comportamenti comuni.

In un’ intervista al Corriere della Sera, Gian Gaetano Tartaglia (ricercatore IIT e responsabile del laboratorio “RNA Systems Biology”), alla domanda in cui gli è stata chiesta un’opinione sui possibili risvolti scientifici e sui benefici ed i rischi che potrebbe causare affidarsi agli algoritmi in un campo così delicato, ha risposto che il beneficio più grande sarebbe quello di poter raccogliere le caratteristiche comuni tra gli individui ai fini della prevenzione. Sapendo se un individuo sviluppa malattie cardiache, si potrebbe per esempio fare prevenzione sul suo doppione.

«Mi spaventa un pochino l’aspetto culturale della cosa. In una parte dell’articolo si mostra che persone simili hanno anche lo stesso background di educazione. È pericoloso pensare che le persone siano predeterminate nei loro studi in base alle caratteristiche fisiche. Gli aspetti sociali, e cioè le interazioni tra individui, principalmente le famiglie (ma non solo) influenzano le nostre scelte ogni giorno. Non possiamo parlare di predeterminazione» ha poi dichiarato l’esperto, definendo lo studio “pionieristico” per aver collegato una proprietà esterna come l’apparenza a qualcosa di interno come il Dna.

Questa particolare correlazione non è quindi esente da rischi: associare le persone in base al loro aspetto potrebbe infatti dare luogo a discriminazioni, con importanti implicazioni sul piano etico. Tra i limiti della ricerca, c’è inoltre il fatto di aver esaminato un piccolo campione di sosia e con soggetti in maggioranza europei. 

Nonostante questo, i risultati potrebbero comunque fornire una base di approfondimento per applicazioni future, ad esempio in medicina legale e negli studi sulle mutazioni genetiche collegate ad alcune patologie.

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