
La dipendenza dai social media potrebbe renderti più vulnerabile alla disinformazione
Uno studio ha indagato il rapporto tra il comportamento on-line e l’interazione con le notizie false
I social media sono, almeno per il momento, un elemento strutturale della società contemporanea. Il loro uso è massiccio e quotidiano per centinaia di milioni di di persone in tutto il mondo, un enorme pubblico a cui si rivolgono le principali testate giornalistiche del pianeta, praticamente tutti i partiti politici, le maggiori istituzioni internazionali e uno stuolo di influencer e opinionisti. Finché questo sarà vero, bisognerà interrogarsi sul rapporto tra l’uso di queste piattaforme e il comportamento degli utenti, in particolare sulla loro relazione con l’informazione, dal momento che anche i social media sono diventati un veicolo di cattiva informazione e disinformazione.
Da alcuni anni nella letteratura psicologica è comparsa l’espressione «uso problematico dei social media» (problematic social media use, PSMU). Anche se non è considerata ad oggi una vera e propria patologia e non ha ancora uno spazio nei manuali diagnostici di psichiatria, l’uso problematico dei social media e le sue possibili conseguenze sono diventati oggetto di diversi studi.
In assenza di una chiara definizione clinica, il PSMU può essere descritto come un disordine del comportamento on-line che ha ricadute sul benessere psicologico. Usare in modo problematico i social media significa dedicare loro così tanto tempo ed energie da compromettere le altre attività, dallo studio al lavoro, e perfino le relazioni con le altre persone. Può manifestarsi attraverso pensieri ossessivi, alterazioni dell’umore, ansia, con la necessità di trascorrere sempre più tempo sulle piattaforme e perfino con l’astinenza quando ci si allontana da esse. Sono sintomi simili a quelli delle dipendenze dalle sostanze stupefacenti o dal gioco d’azzardo, anche se non c’è un chiaro consenso tra gli esperti sulla possibilità di trattare il PSMU come una vera e propria dipendenza.
Gli psicologi hanno ipotizzato che la tendenza a incorrere in un uso problematico dei social media possa essere facilitata da alcuni fattori di rischio presenti in certe personalità. In particolare, i percorsi psicologici che potrebbero condurre verso questo disordine sono due: il primo è legato alla solitudine, alla necessità di un senso di appartenenza e alla paura di essere esclusi; il secondo, al narcisismo, alla ricerca della popolarità e di riconoscimento sociale e della definizione di una propria identità. La diminuzione della paura o l’aumento della gratificazione sarebbero i meccanismi attraverso cui l’uso problematico dei social media può rafforzarsi.
Alcuni studi hanno associato il PSMU a un altro tratto psicologico: l’impulsività. Questo è un fattore che interessa in particolare a chi cerca di capire come l’uso problematico dei social media può influenzare il modo in cui le persone reagiscono ai post e alle notizie in cui si imbattono scorrendo il flusso dei contenuti. Una ricerca della Michigan State University, da poco pubblicata sulla rivista scientifica Plos One, ha indagato la correlazione tra la PSMU e la modalità di interazione con i contenuti pubblicati sui social, in particolare con la propensione a condividere false notizie.
Per realizzare questo studio sono stati reclutati 189 studenti universitari di una grande università statunitense. Dopo aver valutato il loro utilizzo dei social media, i ricercatori hanno sottoposto agli studenti dieci notizie vere e dieci false, giudicate tali da fact-checker indipendenti. Queste notizie sono state mostrate così come si presentano sui social media, cioè con un’immagine, un titolo, un frase iniziale dell’articolo e l’indirizzo on-line del sito dove erano pubblicate.
Ai partecipanti è stato chiesto non solo di giudicare la credibilità delle notizie, ma anche di immaginare di imbattersi in esse e di esprimere la probabilità di cliccare sul post, mettere un “mi piace”, di commentarlo o condividerlo. L’uso problematico dei social media da parte degli studenti è stato misurato con un questionario basato sulla Bergen Social Media Addiction Scale, una scala pensata per valutare il livello di possibile dipendenza dai social media.
I ricercatori hanno trovato che quanto più problematico era l’uso dei social media da parte dei partecipanti, tanto maggiore era la loro tendenza a credere a notizie false e ai cliccare e condividere contenuti di questo tipo. Le persone con un livello di PSMU maggiore sono apparse anche più propense a cliccare, mettere “mi piace”, commentare e condividere notizie a prescindere dal giudizio sulla loro affidabilità, sintomo di un comportamento impulsivo che non fa differenze tra vero e falso.
Secondo Maria Molina, una delle autrici dello studio, «le persone che manifestano un uso problematico dei social media potrebbero essere più vulnerabili alla disinformazione sulla salute». Questo è il primo studio ad approfondire il rapporto tra la diffusione della false notizie e l’uso problematico dei social media. Si tratta quindi di un campo di ricerca ancora aperto a molti possibili sviluppi, che potrebbero fornire nuove idee e strumenti su come affrontare la diffusione della disinformazione sui social media.
- “L’offerta imperdibile di Decathlon”, ecco la nuova truffa social“L’offerta imperdibile di Decathlon”, ecco la nuova truffa social
- La comunicazione scientifica fa ancora molta fatica a raggiungere le comunità onlineLa comunicazione scientifica fa ancora molta fatica a raggiungere le comunità online