
La fast fashion non sarebbe la stessa cosa senza l’intelligenza artificiale
Le aziende di moda ultraveloce usano l’IA per ripulirsi l’immagine, ma l’automazione è ormai parte del loro processo produttivo
La fast fashion ha rivoluzionato il modo di vestire in molti Paesi del mondo, imponendo collezioni lampo e prezzi molto bassi che alimentano l’acquisto compulsivo. Dietro la moda ultraveloce si nasconde, però, un ciclo continuo di produzione e consumo che trasforma i vestiti in beni usa e getta, con pesanti conseguenze ambientali – come abuso intensivo di risorse e tonnellate di rifiuti tessili – ma anche sociali, in particolare attraverso sfruttamento e violenze nei confronti di lavoratori e lavoratrici.
Ci sono numerosi report, inchieste giornalistiche e studi accademici che evidenziano il forte impatto ambientale e sociale della fast fashion. Secondo le Nazioni Unite, la produzione tessile genera ogni anno 1,2 miliardi di tonnellate di gas serra, un volume di emissioni superiore alla somma di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo globale. E non è tutto: secondo alcune stime, se il ritmo attuale non cambia, le emissioni del settore potrebbero aumentare di oltre il 60 per cento entro il 2030.
Eppure TikTok e altre piattaforme social sono invase da video di influencer con profili da migliaia di follower che intrattengono i propri seguaci con l’unboxing di decine di capi acquistati da brand della fast fashion come Shein, Zara, H&M e altri. Queste grandi aziende sono ben consapevoli della loro cattiva reputazione su tematiche ambientali e, di tanto in tanto, mettono in atto iniziative per cercare di ripulire la propria immagine. Ad esempio, secondo un’inchiesta di Franceinfo, il colosso cinese Shein avrebbe utilizzato una rete di circa 2 mila bot sui social per promuovere contenuti favorevoli e contrastare le critiche online.
Se questi marchi sono arrivati a dominare il mercato globale, è anche perché automazione e intelligenza artificiale hanno avuto un ruolo fondamentale in ogni fase del loro business.
I bot per difendere la propria immagine pubblica
Negli ultimi mesi, mentre in Francia il Senato approvava una legge per frenare l’ascesa della fast fashion, un’inchiesta pubblicata a giugno 2025 su Franceinfo ha rivelato che Shein ha messo in campo una strategia di comunicazione senza precedenti. Un vero e proprio esercito di oltre duemila bot, account falsi creati in serie e gestiti in modo coordinato, ha invaso i social network per difendere l’immagine del colosso cinese.
Questi profili, spesso anonimi e con foto generate dall’intelligenza artificiale, si sono attivati in massa per sostenere Shein, replicando slogan a favore del diritto alla moda e attaccando chi critica il modello della fast fashion. I bot sono intervenuti nei dibattiti online, sotto i post di influencer e nei thread più animati, con l’obiettivo di orientare l’opinione pubblica e dare l’impressione di un consenso diffuso.
Ad esempio, l’influencer francese Céline Séris che su Instagram parla di moda etica e consumo responsabile, il 9 maggio 2025 ha pubblicato un video in cui spiegava come dietro al prezzo molto basso di una t-shirt venduta proprio da Shein si celino situazioni di sfruttamento ambientale e lavorativo. Molti commenti che sono stati scritti sotto quel contenuto difendevano il brand, sostenendo con forza la qualità e l’affidabilità dei prodotti Shein. Uno di questi, ad esempio, affermava: «La maggior parte dei vestiti nel mio armadio viene da Shein e li indosso da molto tempo. Li trovo davvero buoni». Analizzando più a fondo il profilo dell’autore di quel commento, però, l’influencer si è imbattuta in un account insolito, popolato da immagini create interamente con l’intelligenza artificiale, un chiaro segnale di un profilo finto costruito ad arte per manipolare il dibattito online.
Nel maggio scorso, Shein ha lanciato una vasta campagna affidandosi a influencer reali, che hanno diffuso lo slogan «La moda è un diritto, non un privilegio», raggiungendo oltre 15 milioni di follower. Ma dietro a questo messaggio apparentemente spontaneo si nascondeva un esercito digitale ben orchestrato. Nei commenti, decine di profili ripetevano ossessivamente il mantra del potere d’acquisto, il principale argomento dell’azienda. Questi account, però, non erano persone comuni: erano stati creati tutti a luglio 2024, con immagini generate dall’intelligenza artificiale o foto identiche, tradendo in questo modo la loro natura artificiale. Grazie a una ricerca approfondita condotta insieme a Bloom, società di analisi dei dati, Franceinfo ha individuato oltre duemila di questi profili fantasma, responsabili di circa 31 mila commenti, foto e like. Una vera e propria armata invisibile che ha lavorato dietro le quinte per plasmare il dibattito online e sostenere il colosso cinese della fast fashion.
Di fronte alle accuse, l’azienda ha negato ogni coinvolgimento diretto, ma l’inchiesta getta luce su una macchina organizzata che sfrutta la manipolazione digitale per influenzare il dibattito e aggirare le nuove restrizioni legislative.
I giganti della fast fashion non sono diventati tali da soli. L’uso dell’intelligenza artificiale è stato determinante in molti aspetti della loro crescita e popolarità. Questa tecnologia ha permesso a marchi come Shein di accelerare la produzione e la diffusione dei prodotti, creando un sistema che non solo risponde rapidamente alle mode, ma manipola anche l’opinione pubblica online, sfruttando strategie digitali sofisticate per mantenere e ampliare la propria influenza sul mercato globale.
L’Intelligenza artificiale come parte del processo produttivo
Nel mondo frenetico della fast fashion, rimanere un passo avanti è fondamentale per mantenere il successo. Zara, il marchio di punta del colosso Inditex, ha scelto di affidarsi all’intelligenza artificiale per consolidare la propria posizione di leader nel settore. Grazie a sofisticati algoritmi, l’azienda riesce a prevedere le tendenze, automatizzare la gestione degli stock e ottimizzare la disposizione dei negozi, garantendo così un ricambio rapidissimo dei prodotti e un’esperienza di acquisto più fluida e coinvolgente.
Zara utilizza un sistema di previsione delle tendenze basato sull’intelligenza artificiale per analizzare le fonti di dati globali, consentendo al marchio anche di progettare e produrre rapidamente collezioni che riflettono i gusti attuali dei clienti. Altri brand di fast fashion, come ad esempio H&M, si sono affidati alla tecnologia di apprendimento automatico per analizzare i dati di vendita e comprendere la domanda, prevedendo così le tendenze, ma anche monitorando i livelli di inventario e riducendo i costi operativi.
Ma non solo, molti negozi online e brand di fast fashion come Shein, ASOS e Boohoo, stanno riscrivendo le regole del gioco utilizzando catene di approvvigionamento sempre più automatizzate. Questi giganti della moda online hanno capito che per restare al passo con le tendenze in continua evoluzione e soddisfare clienti sempre più esigenti serve una tecnologia all’avanguardia che metta in moto ogni fase della produzione e della distribuzione. Attraverso sistemi automatizzati, queste aziende monitorano in tempo reale ogni singolo passaggio, dall’inventario alla gestione degli ordini, fino alla consegna finale, permettendo di adattarsi con estrema rapidità alle variazioni della domanda.
La catena svedese H&M che sta inoltre investendo nell’intelligenza artificiale per trasformare i suoi negozi fisici e rispondere alla crescente concorrenza dei giganti digitali come Shein che, secondo i dati forniti dalla società di ricerca GlobalData, ha superato colossi come, appunto, H&M e Zara. Attraverso l’uso dell’IA generativa, traccia i dati dei consumatori, le loro preferenze di stile e le taglie, per capire quali prodotti si vendono meglio nei diversi mercati e trasferisce questi dati ai negozi con l’obiettivo di offrire un’esperienza migliore a chi compra. Ma, secondo quanto dichiarato da Ellen Svanstrom, responsabile dell’informazione digitale di H&M, al Wall Street Journal, l’azienda si affida all’IA anche per la gestione della catena di approvvigionamento, i prezzi e il marketing, con l’obiettivo di creare un ecosistema integrato tra canali online e offline, capace di adattarsi rapidamente alle tendenze del mercato.
L’IA come soluzione per una maggiore sostenibilità?
L’intelligenza artificiale viene spesso presentata dai grandi marchi del fast fashion come la chiave per un futuro più sostenibile, e molti esperti del settore guardano con ottimismo al suo potenziale.
In realtà, però, questo binomio si rivela troppo spesso uno strumento di facciata e vari esperti si chiedono se queste presunte efficienze stiano davvero migliorando i risultati. Ad esempio, Shein ha trasformato radicalmente il mondo della fast fashion grazie a un uso massiccio e sofisticato dell’intelligenza artificiale, che permette all’azienda di monitorare in tempo reale le preferenze dei consumatori e di adattare la produzione con una rapidità senza precedenti. Con un catalogo che può arrivare a offrire fino a 600 mila articoli contemporaneamente, il colosso cinese è diventato uno dei brand più amati soprattutto dai giovani di tutto il mondo.
Tuttavia, questo successo ha un prezzo: l’azienda è stata indicata come il maggior inquinatore del settore moda nel 2023 e ha affrontato numerose critiche per le condizioni di lavoro nelle sue fabbriche, con lavoratori e lavoratrici che lavorano 75 ore a settimana, oltre che per i rifiuti tessili e gli alti livelli di inquinamento da microplastiche.
Sage Lenier, direttrice esecutiva di Sustainable and Just Future, un’organizzazione no-profit per il clima, ha spiegato al media Grist che «l’intelligenza artificiale consente alla fast fashion di diventare l’industria della moda ultraveloce, con Shein e Temu a fare da apripista» poiché senza l’IA «non potrebbero letteralmente esistere». Grazie all’uso dell’IA, un nuovo design di Shein può impiegare anche solo 10 giorni per diventare un capo d’abbigliamento, e ogni giorno vengono aggiunti al sito fino a 10mila articoli. Tutto questo si traduce in un enorme impatto ambientale. Secondo il rapporto di sostenibilità dell’azienda, nel 2023 Shein ha emesso 16,7 milioni di tonnellate di anidride carbonica, una quantità superiore a quella emessa da quattro centrali elettriche a carbone in un anno.
E l’IA ha un ruolo molto importante in questo modello di business estremamente rapido e produttivo. Nonostante Peter Pernot-Day, responsabile della strategia globale e degli affari aziendali di Shein, nell’agosto 2023 avesse affermato in un’intervista a Business Insider che l’intelligenza artificiale non riveste un ruolo centrale nelle attività dell’azienda, le sue dichiarazioni durante una conferenza sul retail all’inizio del 2024 hanno suggerito il contrario. Secondo l’azienda la tecnologia aiuterebbe a ridurre gli sprechi e ad aumentare l’efficienza.
Tuttavia, un’analisi del rapporto di sostenibilità di Shein condotta da Business of Fashion ha rilevato che nel 2023 le emissioni dell’azienda sono cresciute di quasi il doppio rispetto ai ricavi, e questo è un segnale negativo dal punto di vista ambientale, perché idealmente un’azienda dovrebbe riuscire a crescere riducendo o almeno limitando l’aumento delle sue emissioni. Questo dato rende Shein la società con le emissioni più alte dell’intera industria della moda. Sheng Lu, docente all’Università del Delaware, negli Stati Uniti, ha spiegato a Grist che «l’intelligenza artificiale ha molte applicazioni nella moda, e non è di per sé un problema», aggiungendo che, però, se le aziende utilizzano l’IA per incrementare le vendite senza modificare le loro pratiche non sostenibili, anche la loro impronta climatica crescerà di conseguenza. «È l’effetto complessivo della capacità di offrire articoli più popolari sul mercato e di incoraggiare i consumatori ad acquistare di più rispetto al passato», ha detto.
Un altro caso emblematico è quello di H&M che immette sul mercato tra le 12 e le 16 collezioni ogni anno. I tempi di produzione oscillano tra poche settimane e sei mesi, ma l’azienda sta investendo sempre più in tecnologie di intelligenza artificiale per accelerare ulteriormente la filiera. Il risultato è un modello che incentiva abitudini di consumo sempre più frenetiche: acquistare, indossare, scartare. Nel Regno Unito, un capo di abbigliamento viene indossato in media solo 14 volte prima di finire nel cestino. L’impiego di materiali economici e la corsa continua a intercettare le nuove tendenze – supportata proprio dall’IA, come abbiamo visto – alimentano un ciclo di consumo compulsivo, dove la velocità e la quantità contano più della durabilità e della sostenibilità.
Nonostante i grandi marchi che producono questi prodotti continuino a sostenere che l’IA sia la chiave per ridurre gli sprechi producendo solo in base alla domanda reale, esperti e ambientalisti mettono in guardia sul rischio che questa tecnologia alimenti un circolo vizioso di sovrapproduzione e consumo eccessivo, se non accompagnata da regole etiche rigorose.
Dietro slogan innovativi e campagne digitali accattivanti, l’IA viene impiegata più per costruire un’immagine green che per trasformare concretamente il modello produttivo, che continua a basarsi su logiche di iperproduzione, sfruttamento e consumo rapido. Senza un reale impegno strutturale e trasparente, queste strategie rischiano di essere l’ennesimo esempio di greenwashing, utile più al marketing che all’ambiente.
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