
I siti illegali per guardare il calcio “gratis” non sono mai del tutto gratis
Pubblicità invasiva, malware e inviti a scommettere sulle partite. Così la pirateria online sfrutta gli alti costi del calcio in Italia
Le partite di calcio trasmesse “gratis” sui canali illeciti non lo sono mai davvero. Che si tratti dei tuoi dati personali, di banner invasivi o di canali che inducono a scommettere (anche illegalmente) promettendo soldi facili, in Italia e in Europa prospera un mercato nero che usa siti, IPTV e canali Telegram per offrire calcio in diretta, aggirando i diritti. È un’economia parallela capace di muovere milioni di utenti e profitti.
La scorsa stagione sportiva, Italia e Unione europea (UE) hanno rafforzato il contrasto a questo sistema. L’Agcom (l’autorità italiana garante delle comunicazioni) ha varato il “Piracy Shield”, mentre l’Europol, l’agenzia europea finalizzata alla lotta al crimine, insieme a diverse procure italiane e straniere, ha colpito infrastrutture, rivenditori e utenti finali. Ma, a ogni giro di chiusure di questi canali illegali, il fenomeno riparte grazie a domini specchio, server fuori giurisdizione e gruppi Telegram “usa e getta” che tengono in vita i flussi ininterrottamente.
L’Italia come laboratorio: il caso Piracy Shield
Dal 1° febbraio 2024 è attivo in Italia il Piracy Shield, piattaforma gestita dall’Agcom per contrastare la pirateria online (dal 2025 attiva anche contro reti illegali di musica, serie tv e film). Il meccanismo, sulla carta, prevede che i titolari dei diritti dei match – come la Lega Serie A, Dazn, Prime Video o Sky – segnalino i flussi pirata e Agcom ordini ai provider di bloccarli entro 30 minuti. Lo strumento, introdotto dalla legge 93/2023, rappresenta un cambio di passo nella lotta alla pirateria, spesso in grado di erodere centinaia di milioni di euro alle emittenti.
Tuttavia, non mancano le critiche. Gli esperti segnalano il rischio di “overblocking”, cioè l’oscuramento di interi domini o servizi legittimi a causa della presenza di contenuti pirata. È accaduto, ad esempio, il 19 ottobre 2024 con Google Drive, bloccato temporaneamente per errore da Piracy Shield generando disagi per aziende e privati che lo usano quotidianamente per lavoro e studio. Non solo: lo strumento è stato criticato lo scorso luglio dalla Computer and Communications Industry Association (CCIA), organizzazione internazionale che rappresenta molte aziende di tecnologia e comunicazione, in quanto potrebbe violare il Digital Service Act (DSA, regolamento europeo entrato in vigore nel 2024 che ha l’obiettivo di rendere più sicuri, trasparenti e responsabili i servizi digitali, in particolare le piattaforme online) e causare, come peraltro già avvenuto, blocchi eccessivi con disagi e danni per milioni di utenti.
Le operazioni anti-pirateria in UE
Sul fronte europeo, Europol e Eurojust – agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione giudiziaria penale – a inizio di quest’anno hanno colpito una rete che distribuiva 2.500 canali a oltre 22 milioni di utenti globali, sequestrando server, dispositivi e domini. La rete era attiva soprattutto durante gli Europei di calcio del 2024 e i Giochi olimpici dello stesso anno. Nel 2024, la Alliance for Creativity and Entertainment (che raccoglie le più grandi industrie del settore dell’intrattenimento con l’obiettivo di combattere la pirateria online) ha rivendicato lo smantellamento di grandi reti di streaming calcistico con centinaia di domini e milioni di visite, segno che l’offerta è globale ma l’audience europea pesa molto.
Come operano (e cosa trasmettono) i canali illeciti
Lato offerta, si va dai grandi network all’artigianato digitale. In Italia, la magistratura ha documentato infrastrutture che catturavano i segnali e li rivendevano come pacchetti IPTV low-cost, con server in più Paesi e app dedicate. In parallelo, canali Telegram rilanciano link o pagine di player “embedded”, ne cambiano i nomi a ridosso del fischio d’inizio e migrano rapidamente su “mirror” (indirizzi alternativi che portano sullo stesso sito), sfruttando la lentezza delle segnalazioni o il tempo tecnico degli ordini di blocco.
In che modo resistono le piattaforme illegali di streaming
Ci sono almeno tre motivi dietro la resilienza ai blocchi delle piattaforme illegali di streaming sportivo. In primo luogo, la frammentazione giuridica: gli ordini amministrativi e giudiziari viaggiano tra giurisdizioni, provider e host (sede fisica di un sito web) con tempi, regole e strutture diversi. In secondo luogo, la ridondanza: dieci mirror per uno stesso player, shortlink “a cascata”, ridirezioni multiple: appena un dominio è oscurato, un altro già pronto lo rimpiazza. Ultimo, ma non meno importante, la crescente diffusione sulle piattaforme social.
Telegram, in particolare, accelera la distribuzione e consente comunità “portabili” (utenti che seguono l’amministratore da un gruppo all’altro tramite un canale lecito utile solo a fornire di volta in volta il nuovo indirizzo dei canali illeciti con le partite). La piattaforma, sebbene sia storicamente molto poco incline al monitoraggio dei contenuti – aspetto che l’ha resa negli anni il paradiso della criminalità e posta al centro di numerosi casi di cronaca – ha recentemente annunciato in alcuni Paesi europei più collaborazione con le autorità, ma l’effetto è disomogeneo e i gestori di questi network si adattano con estrema rapidità.
Il denaro a chi trasmette contenuti illeciti arriva da più fonti: abbonamenti a liste IPTV (semplificando, canali tv via internet) vendute via bot o chat private (con pagamenti in criptovalute e gift card per aggirare la tracciabilità), pubblicità invasiva su siti “specchio” (pop-up, notifiche, estensioni), affiliazioni con bookmaker e casinò su domini “.it”, “.eu” o “.com”, donazioni e paywall “premium” per chat riservate. Uno studio del 2022 realizzato dall’Aapa (Alleanza contro la pirateria audiovisiva) ha documentato l’elevata incidenza di malware (spesso della tipologia adware) nelle app e sui siti di pirateria audiovisiva (con fino al 57 per cento di probabilità di installazione indesiderata): il rischio per gli utenti è concreto, tra furto di dati personali e hijacking dei browser di navigazione.
Ma i pericoli maggiori riguardano la contiguità fra canali pirata e community di scommesse, anche illegali, che usano lo sport live come esca. Il canale Telegram resta la vetrina: annuncia link, gestisce community e convoglia verso i player esterni o verso bot di pagamento. Per ottenere l’accesso allo streaming delle partite, però, i broadcaster illegali vincolano l’utente a iscriversi a uno o più canali di betting, promettendo guadagni facili e illimitati. Il tutto corredato da recensioni tutte uguali di persone inizialmente scettiche sul metodo ma poi capaci di vincere somme anche ingenti con apparente facilità.


Un fenomeno che sgonfia il calcio
Gli operatori di streaming legali sostengono costi crescenti per i diritti. In Spagna la Liga rivendica blocchi in tempo reale e stima danni enormi per il settore, come succede anche in Italia. Nel 2025 sono arrivate anche le prime sanzioni agli utenti finali, pur in numero limitato (2282 utenti identificati e multati in 80 province italiane). Il percorso è delicato: colpire l’utente può essere un deterrente, ma la chiave resta ridurre l’attrattività dell’offerta illegale (qualità instabile, link che saltano) e, in parallelo, rendere “ragionevole” quella legale, i cui prezzi nel nostro Paese non fanno che aumentare rendendo la visione degli eventi sportivi un lusso.
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