
Anche nel 2024 i media italiani hanno ignorato la crisi climatica
Dall’ultimo rapporto dell’Osservatorio di Pavia emerge che l’informazione sul clima è ancora carente e inadeguata
La temperatura della Terra aumenta a causa delle emissioni prodotte dai combustibili fossili, ma il livello e la qualità dell’informazione e della discussione pubblica non tengono il passo di ciò che sta accadendo al sistema climatico del pianeta e agli ecosistemi interessati da questo fenomeno globale.
Questa è la situazione, non molto esaltante, che emerge dal rapporto sull’informazione climatica in Italia realizzato dall’Osservatorio di Pavia, un istituto di ricerca indipendente specializzato nell’analisi dei media. L’ultima edizione, relativa all’informazione apparsa nel 2024, mostra una riduzione dell’attenzione al cambiamento climatico da parte dei principali quotidiani, che comprende testate che non hanno una linea negazionista, e dei telegiornali nazionali rispetto all’anno precedente. La copertura è rimasta abbastanza stabile tra il 2022 e il 2024, ma lo scorso anno il numero delle notizie è diminuito del 25 per cento sui quotidiani e del 28 nei telegiornali, mentre nel 2023 era aumentato rispetto al 2022.
Picchi di attenzione nel 2024 si sono registrati in corrispondenza di eventi che hanno toccato il cambiamento climatico o il dibattito sulla transizione “verde”. È successo, per esempio, a febbraio, quando l’agenda mediatica è stata dominata dalle proteste degli agricoltori contro le politiche ambientali dell’Unione europea, o a luglio, quando i telegiornali hanno parlato della grave siccità che stava colpendo la Sicilia e la Sardegna.
Ma il problema non è soltanto la copertura, cioè quanto spazio i media dedicano a un argomento, ma anche come ne parlano. Secondo l’Osservatorio, sono diminuite significativamente le notizie focalizzate sul cambiamento climatico mentre, in proporzione, sono aumentate quelle che lo trattano a margine di altre questioni o si limitano a citarla. Una «tendenza», scrive l’Osservatorio, «a confinare la crisi climatica sullo sfondo di altre narrazioni», senza che venga approfondita.
Questa tendenza si manifesta anche nella scarsa attenzione che i media continuano ad avere per le cause del cambiamento climatico, menzionate in appena il 3 per cento degli articoli dei quotidiani e nel 2 per cento dei servizi dei telegiornali. Un altro vizio ancora ricorrente dei media è quello di parlare di politiche e normative per l’abbattimento delle emissioni di gas serra senza un riferimento esplicito al cambiamento climatico. Così facendo, nota l’Osservatorio, si rischia di far perdere di vista la connessione tra i processi che riguardano la transizione energetica e il cambiamento climatico, cioè la ragione principale per cui sono stati approvati trattati come l’Accordo di Parigi sul clima del 2015 e per cui i singoli stati e l’Unione europea dovrebbero rispettarli. Si parla tanto di transizione ed efficienza energetica, di energie rinnovabili e altre soluzioni, ma spesso non si ricorda perché lo stiamo facendo.
La scoperta scientifica dell’esistenza del riscaldamento globale di origine antropica è la principale ragione per cui il mondo si è trovato, a un certo punto negli ultimi decenni, a chiedersi come affrontare questo problema. Questo fatto viene raramente ricordato o rimane sullo sfondo, come se fosse scontato o riconosciuto da tutti al di fuori dal mondo scientifico. Decarbonizzare l’intero sistema di produzione dell’energia elettrica e quello dei trasporti, adattare la società agli effetti del cambiamento climatico, sono azioni che devono infrangere numerose barriere, politiche, economiche e culturali. Il processo è complicato e se ci dimentichiamo le ragioni che lo rendono necessario, si finirà per vederne soltanto costi, sacrifici, intoppi. Ed è proprio quello che succede spesso sui media.
L’Osservatorio riporta infatti che il 17 per cento degli articoli dei quotidiani e il 19 per cento delle notizie dei telegiornali contengono reazioni negative alla transizione ecologica ed energetica o a specifiche azioni per il clima, «nella maggior parte dei casi riportate in modo bilanciato o neutrale, senza endorsement né critica». Queste posizioni nel dibattito pubblico vengono gonfiate dagli interventi di molti politici, soprattutto a destra, che dipingono le politiche per il clima, come quelle contenute nel Green Deal europeo, con parole come «follia», «diktat ideologico», «suicidio» e altre espressioni polemiche, denigratorie ed estremiste, che non sono altro che il vocabolario del negazionismo climatico.
Nel complesso, commenta l’Osservatorio, «il racconto mediatico e politico restituisce un quadro in cui le preoccupazioni per l’impatto economico e industriale delle politiche climatiche prevalgono sulla narrazione delle conseguenze ambientali del riscaldamento globale». L’esito di tutto questo è un discorso pubblico polarizzato, dove il presunto “pragmatismo” «richiesto da molti rischia di tramutarsi in resistenza sistematica all’azione climatica». Infine, il rapporto registra l’influenza che sui media ha ancora oggi il greenwashing, cioè il tentativo da parte di aziende ancora legate ai combustibili fossili di presentarsi con un volto sostenibile.
Il quadro, non confortante, è ancora quello di una narrazione mediatica e di un dibattito pubblico inadeguati e incapaci, ancora oggi, di veicolare con chiarezza all’opinione pubblica il messaggio che il cambiamento climatico è uno dei più gravi e urgenti problemi del nostro tempo, che le soluzioni per affrontarlo, per quanto imperfette, sono già a nostra disposizione e che qualsiasi ritardo lo pagheremo a caro prezzo.
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