
Dentro il Remigration summit di Gallarate, tra teorie del complotto ed estremisti in giacca e cravatta
Chi c’era e cosa è stato detto durante il raduno dell’estrema destra che sogna di deportare richiedenti asilo e immigrati regolari
Idee estremiste ma discusse in giacca e cravatta. Il codice di abbigliamento prescritto dagli organizzatori del Remigration summit – business casual o business formal – avrà forse occultato tatuaggi imbarazzanti e ingannato qualche giornalista – come Corrado Ocone di Libero, che ha paragonato i partecipanti a «compassati gentlemen» dei «circoli di élite londinesi» – ma non è riuscito a mascherare né le teorie del complotto e i piani anticostituzionali espressi dagli oratori sul palco, né tantomeno a cancellare i trascorsi di estrema destra, in certi casi addirittura neonazisti, degli aderenti al convegno.
Nelle scorse settimane, proteste e improvvise cancellazioni delle prenotazioni hanno procurato agli organizzatori difficoltà logistiche nel reperimento di una sede, che da Milano si è progressivamente spostata nella provincia lombarda. La location è stata tenuta segreta fino all’alba di sabato 17 maggio, quando un’email ha indirizzato pubblico e accreditati al teatro Condominio di Gallarate, nel varesotto, anticipando a sorpresa l’orario di inizio dalle 14.30 alle 9.00 del giorno stesso per sviare eventuali contestazioni.
A concedere il tacito assenso per l’uso della sala, di proprietà comunale, il sindaco di Gallarate, il leghista Andrea Cassani, che ha minimizzato sia la radicalità dei presenti – «un’associazione di ragazzi del territorio […] con altri giovani provenienti da tutta Europa» – sia la portata del raduno – «un evento privato» con regolare affitto degli spazi – e ha insistito sulla minaccia alla libertà di pensiero e di espressione posta dalla sinistra. Anche il ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, cui le opposizioni avevano fatto appello per emanare un divieto, si è espresso in favore della libertà di esprimere «idee che possano apparire molto forti, molto controverse, molto discutibili».
Sul summit, peraltro, aveva da giorni messo il cappello la Lega, difendendone lo svolgimento in nome della libertà di parola con vari esponenti di rango (il deputato Luca Toccalini, l’europarlamentare Silvia Sardone, il capogruppo in Regione Lombardia Alessandro Corbetta), fino al suo segretario Matteo Salvini. Una significativa delegazione del partito, infatti, non solo ha assistito all’incontro, ma vi ha attivamente partecipato.
Facta ha potuto seguire e ascoltare tutti i discorsi degli speaker usufruendo della diretta streaming a pagamento. Ecco chi c’era e cosa hanno detto al Remigration summit.
Gli speaker
Davanti a circa 250/300 spettatori, un centinaio in meno di quelli attesi, si sono alternati quattordici oratori, raccordati dalle presentazioni dell’organizzatore italiano, Andrea Ballarati. Classe 2001, ex militante nell’ala giovanile di Fratelli d’Italia. Ballarati è presidente di Azione, Cultura, Tradizione, un’associazione comasca che da un paio d’anni è entrata nel circuito di Action Radar Europe, la rete identitaria ultranazionalista promossa dall’austriaco Martin Sellner, cui, di fatto, si deve la messa a punto concettuale della “remigrazione”.
A tributarne gli onori della paternità è stata, fin da subito, la prima speaker, Lena Kotré, parlamentare di Alternativa per la Germania (AfD) nel Brandeburgo.

I rapporti tra Sellner e AfD sono cordiali da diverso tempo, benché il partito tedesco di estrema destra inserisca tuttora il movimento identitario nella sua lista di incompatibilità. Nel novembre del 2023, come ha documentato un’inchiesta del collettivo giornalistico Correctiv, Sellner aveva esposto a imprenditori, membri dell’alta borghesia tedesca, neonazisti e figure di spicco del partito, tra cui il braccio destro della leader Alice Weidel, un piano di remigrazione per espellere dalla Germania e deportare in un’area imprecisata del Nordafrica tre categorie di persone: richiedenti asilo, immigrati regolari e “cittadini non assimilati”, cioè tedeschi di seconda e terza generazione ritenuti non integrati. Kotré ha rivendicato l’inclusione della remigrazione nel programma ufficiale di AfD, augurandosi che la normalizzazione della proposta prosegua fino al punto di diventare parte dei discorsi quotidiani delle persone.
Eva Vlaardingerbroek, seconda a salire sul palco, era sicuramente l’ospite più attesa e più mainstream, con oltre un milione di follower su X. Attivista e commentatrice olandese, con un passato politico nel Forum per la Democrazia, nei Paesi Bassi, Vlaardingerbroek è, negli ultimi anni, velocemente assurta a stella nascente del conservatorismo europeo, omaggiata con galanti baciamano da Viktor Orbán, seguita con attenzione da Elon Musk e incontrata da Matteo Salvini.
Nel 2021, mentre presentava un talk show in inglese per la web TV dei Democratici Svedesi, è stata notata da Tucker Carlson e da Steve Bannon, che l’hanno più volte interpellata nelle rispettive trasmissioni come corrispondente per le vicende europee. Dalla TV americana alle conferenze internazionali, come la CPAC di Budapest, il salto è stato breve: ormai «sembra che nessun congresso internazionale identitario o ultraconservatore possa aver luogo senza che Vlaardingerbroek sia una dei relatori», hanno notato gli esperti di cospirazionismo Pepijn van Erp e Peter Zegers.
Vlaardingerbroek ha infatti una predilezione e un certo talento per le “guerre culturali”, con una spiccata tendenza a sbracare nel complottismo: l’azione di riduzione delle emissioni di azoto nei Paesi Bassi sarebbe una montatura per espropriare le terre degli agricoltori olandesi, la vaccinazione anti-Covid sarebbe stata ispirata a un più ampio disegno totalitario di controllo, la Grande Sostituzione (o sostituzione etnica) – la teoria del complotto che ha spinto diversi suprematisti bianchi a compiere stragi – sarebbe una realtà pianificata dall’élite globalista. «La combinazione fra l’immigrazione di massa di gruppi con alti tassi di fecondità e i bassi tassi di fecondità degli europei etnici costituisce la Grande Sostituzione» ha ribadito sabato Vlaardingerbroek, invocando misure più drastiche della chiusura dei confini, ormai non più sufficiente per impedire che gli europei etnici si riducano a «una minoranza entro la fine del secolo».
Quartieri multiculturali come Molenbeek a Bruxelles, Saint-Denis a Parigi e Rinkeby a Stoccolma costituirebbero la migliore rappresentazione di come sarà l’Europa se la remigrazione non sarà messa in atto: «Siamo stati invasi e queste aree sono state già occupate». Tuttavia, ha ammonito Vlaardingerbroek, la remigrazione non potrà realizzarsi se prima gli europei non si sbarazzeranno del «complesso di colpa della Seconda guerra mondiale», che li trattiene dal discuterne apertamente, come invece avviene già negli Stati Uniti di Trump.
Il terzo discorso è stato il meno retorico, perché dissimulato da un linguaggio pseudo-accademico volto a dimostrare come l’immigrazione non sia correlata alla crescita del Pil e come la remigrazione sia economicamente sostenibile con incentivi volontari al rimpatrio (o alla deportazione), grazie ai risparmi nel presidio del territorio e nella gestione delle carceri. La pochezza delle argomentazioni non è stata, però, una sorpresa conoscendo il background della speaker, l’americana Cyan Rose Quinn, e del presunto think tank che rappresenta, il White Papers Policy Institute (WPPI).
Il WPPI, la cui missione – si legge sul sito – è «creare alternative politiche che promuovano gli interessi collettivi dei popoli occidentali che cercano l’autodeterminazione», non è altro che un blog collettivo fondato da uno studente americano in Svezia, James Karlsson (pseudonimo di James William Kreger), il cui unico lavoro documentato è un impiego da McDonald’s. I contenuti del WPPI, truffaldinamente presentati come ricerche accademiche, sono monotematicamente incentrati sulla sostituzione etnica e sui suoi rimedi, ad esempio il rimpatrio di tutta la popolazione statunitense non bianca, compresi i cittadini afrodiscendenti, in Paesi terzi.
La stessa Quinn, sul palco del Remigration summit, ha affermato che i neri americani potrebbero volontariamente espatriare in Ghana, dove non subirebbero più episodi di razzismo. Kreger, d’altronde, è molto più radicale di quanto vuole lasciare intendere attraverso la sua istituzione, visto che non disdegna inviti in podcast neonazisti, come The Daily Shoah. Dal canto suo, Quinn è un’ex militante della sinistra radicale di Seattle che ha fatto il giro completo dello spettro politico, fino ad accasarsi nella destra suprematista. La sua identità come autrice in incognito del celebre sito nazionalista bianco Counter-Currents e coordinatrice di una conferenza annuale di suprematisti e antisemiti, il Northwest Forum, è stata rivelata da attivisti antifascisti americani dopo il raduno dell’Alt-Right a Charlottesville, nel 2017.

Jacky Eubanks, ex candidata alle primarie repubblicane in Michigan nota per aver proposto la messa al bando di tutti i contraccettivi, era l’altra americana a Gallarate. Ha chiesto una moratoria sull’immigrazione finché non sarà ottenuta l’assimilazione di tutti gli immigrati, perché – secondo la sua tesi storica revisionista –gli Stati Uniti, al momento della loro fondazione, non erano un Paese multiculturale.
A sorpresa, a presentare il piano dettagliato della remigrazione non è stato Sellner, ma Dries Van Langenhove, ex deputato del partito nazionalista fiammingo Vlaams Belang e leader del movimento giovanile fiammingo Schild & Vrienden. Venerdì Van Langenhove sarebbe dovuto comparire in un tribunale belga per la sentenza di appello del processo che lo riguarda – è stato condannato in primo grado a un anno di carcere per aver incitato alla violenza e negato l’Olocausto nelle chat del suo movimento – ma l’udienza è stata rinviata per un incidente occorso a uno dei magistrati della corte.
I procedimenti giudiziari a suo carico hanno, ad ogni modo, permesso a Van Langenhove di martirizzare la propria figura e di lanciare una lucrosa campagna fondi a sostegno delle spese processuali, arrivata a raccogliere – al momento in cui scriviamo – quasi centomila euro. A Gallarate si è infatti presentato come la prova che, se si osa parlare di remigrazione, il «regime di Bruxelles» è disposto a incarcerare i suoi oppositori.
Il piano per la remigrazione, come aveva già dettagliato Sellner sul suo sito, si comporrebbe di tre fasi. La prima – ha spiegato Van Langenhove – consiste nell’espulsione degli immigrati illegali, nella chiusura dei confini, nella riforma in senso restrittivo del diritto d’asilo e, soprattutto, nella cancellazione dei ricongiungimenti familiari. Nella seconda fase, i permessi di lavoro e soggiorno non saranno automaticamente concessi, ad esempio per chi commette crimini o dimostra di non essersi culturalmente assimilato, ma verrà adottato un sistema di quote per limitare gli ingressi e la concessione della cittadinanza verrà cancellata o revocata in caso di acquisizione fraudolenta. La terza fase, infine, prenderà di mira i “cittadini non assimilati”, cioè chi vive in “società parallele” ed è fedele a nazioni o ideologie straniere.
Van Langenhove si è detto fiducioso che la remigrazione possa essere applicata con le leggi vigenti, almeno nelle due fasi iniziali e, con qualche accorgimento, anche nella terza: «I cittadini non possono essere deportati, quindi applicheremo pressioni culturali, legali ed economiche per incoraggiare il rimpatrio volontario», con opportunità economiche anche per i Paesi di arrivo. «Se qualsiasi legge, trattato o istituzione sostiene la Grande Sostituzione o ci impedisce di implementare la remigrazione – ha ammonito – significa che ci impedisce di salvare il nostro popolo e dev’essere reinterpretata, riscritta o abolita. Perché il nostro principale e più importante dovere non è verso i trattati, le leggi, le istituzioni o qualsiasi pezzo di carta, ma verso il nostro popolo».
L’irlandese John McLaughlin e lo scozzese Kenny Smith erano in rappresentanza di due piccoli partiti nei rispettivi Paesi, il National Party e l’Homeland Party. Il primo è riuscito a guadagnare attenzione mediatica infiltrandosi nelle proteste anti-lockdown a Dublino durante la pandemia e approfittando del recente afflusso di migranti sull’isola, ma ha fallito tutti i più recenti appuntamenti elettorali, mantenendosi sotto l’1 per cento dei consensi. Il secondo, invece, come ha documentato un’inchiesta di HOPE not hate, annovera fra i suoi ranghi fascisti e neonazisti, il che non è così strano visto che nasce, nel 2023, scindendosi da Alternativa Patriottica, il più grande partito neonazista britannico. Il mese scorso, l’Homeland Party ha ospitato una conferenza sull’immigrazione invitando Lena Kotré e il teorico francese della Grande Sostituzione, lo scrittore Renaud Camus, cui il ministero dell’interno britannico ha tuttavia impedito l’ingresso nel Paese.
McLaughlin ha evocato lo spirito di resistenza della cultura gaelica contro lo spettro dell’irrilevanza demografica irlandese nell’isola entro il 2060. Smith si è, al contrario, soffermato su un orribile caso di cronaca, che, complice l’amplificazione mediatica garantita da Elon Musk, si è gonfiato fino ad assumere connotati razziali e razzisti: l’adescamento di minorenni in prevalenza bianche a scopo di sfruttamento sessuale da parte di cittadini britannici di origine pakistana. Smith l’ha infatti citato per generalizzare un panico morale sui pericoli dell’immigrazione per donne e giovani bianche, nonostante l’ultimo rapporto delle forze di polizia sulla pedofilia abbia smentito l’allarmismo, mostrando come il numero delle condanne fra i gruppi etnici asiatici sia proporzionale alla loro popolazione complessiva nel Regno Unito.
Fra gli speaker figuravano altri tre membri di partito, con un seguito, tuttavia, ben più rilevante. Il maggiore a essere rappresentato – con Pedro Faria – era Chega, la destra radicale portoghese che, lo scorso lunedì, ha ottenuto il miglior risultato elettorale della sua storia, il 22,6 per cento dei voti. La presenza di Faria è stata, probabilmente, il più importante successo organizzativo dell’altro portoghese sul palco, Afonso Gonçalves, del movimento misogino e razzista Reconquista, che ha sdoganato la remigrazione fino a farla arrivare al vertice di Chega e al suo leader André Ventura.
Faria ha, infatti, contestato la “manifestazione di interesse”, la legge sulla regolarizzazione dell’immigrazione illegale, recentemente abolita dal centrodestra, che ha permesso per anni a chi giungeva nel Paese con un visto turistico di potervi soggiornare presentando un contratto di lavoro e un anno di pagamenti previdenziali. Su questi temi, Gonçalves ha usato toni più duri, invocando una terza riconquista – dopo quella contro i mori e contro l’annessione spagnola nel 1640 – contro gli immigrati.
L’altro esponente di partito era il francese Hilaire Bouyé, neopresidente della giovanile di Reconquête (Génération Zemmour), che ha difeso la remigrazione come misura di salvezza per la civiltà europea. Dalla sua fondazione, in appoggio alla candidatura del polemista Eric Zemmour alle presidenziali del 2022, Gén Z è stata più volte scossa da scandali: svastiche disegnate di notte nei quartieri ad alto tasso di immigrazione, attivisti arrestati per pestaggi a sfondo razzista, sostenitori che nei boschi si esercitano con la pistola usando caricature di ebrei, neri e musulmani come bersagli, proclami di guerra civile contro la sostituzione etnica. D’altronde, lo stesso Zemmour, il primo candidato presidente in Francia a credere nella sostituzione etnica e a caldeggiare un ministero per la remigrazione, è un pluricondannato per offese razziste.
L’ex parlamentare olandese Freek Jansen, del Forum per la democrazia (FvD), era l’ultimo membro di partito nel parterre degli ospiti in presenza. Da ex presidente dei giovani del FvD, Jansen ha attraversato lo scandalo che spinse Eva Vlaardingerbroek a lasciare il partito, la condivisione di commenti antisemiti e apprezzamenti per il Terzo Reich nelle chat dei militanti. Jansen ha tenuto un discorso in apparenza singolare e contradittorio con le uscite islamofobiche del suo leader di partito, Thierry Baudet, ma coerente con il progetto della remigrazione: ha infatti deplorato gli interventi armati americani in Medio Oriente e auspicato «la pace con il mondo musulmano» in modo che i musulmani che vivono in Europa abbiano una patria dove tornare.
Un moto di commozione si è diffuso fra il pubblico quando è salito sul palco Maximilian Märkl, del movimento identitario tedesco (IB), insieme agli attivisti di estrema destra che la polizia di Monaco di Baviera ha fermato, due giorni prima del summit, mentre si imbarcavano per l’Italia. Nonostante il divieto di viaggiare nel nostro Paese, con la motivazione che avrebbero compromesso la reputazione della Germania promuovendo «un’ideologia disumana» e radicalizzando altre persone all’estero, alcuni di loro sono comunque riusciti a raggiungere il varesotto e a far dono a Sellner di un maglione con aerei della remigrazione (martedì, al rientro, sono stati arrestati e subito rilasciati).
Märkl ha infatti insistito sulla repressione che il movimento identitario subisce in Germania, dove è classificato dai servizi segreti interni come un caso certo di estremismo di destra. A differenza dell’Austria, dove i simboli della creatura di Sellner sono stati vietati, e della Francia, dove il movimento identitario è stato sciolto dal governo, IB ha tuttavia trovato in Germania una sponda istituzionale in AfD, che ne ha assunto diversi attivisti come assistenti parlamentari, a dispetto dei trascorsi criminali e delle apologie del nazismo.

Anche per questioni anagrafiche, il 76enne francese Jean-Yves Le Gallou era il meno omologato degli speaker. Intellettuale della Nuova Destra, ex europarlamentare del Fronte Nazionale, sposato con la figlia di un ex Waffen-SS, Le Gallou è il teorico della “preferenza nazionale”, la concessione dei diritti civili, sociali e politici in via prioritaria ai francesi di sangue. Oggi vicino a Zemmour, è convinto che l’Europa debba affrontare una guerra razziale per la sua identità. «La Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni deve applicarsi anche agli europei minacciati dalla colonizzazione invasiva» ha detto sabato. «La remigrazione è essenziale per evitare la sommersione».
Martin Sellner, penultimo a parlare prima di Gonçalves, è stato accolto da un’ovazione. Parafrasando l’extra omnes del conclave, ha rivolto un invito agli immigrati: «Andate via dalle nostre patrie!» Sellner ha poi promesso di rendere la remigrazione una realtà, trascinando in pochi anni molti partiti dalla sua parte. Sellner, la cui figura è radioattiva in Svizzera, Germania, Regno Unito e Stati Uniti – tutti Paesi da cui è stato respinto perché considerato un pericolo per la sicurezza e per aver avuto contatti con l’attentatore di Christchurch, in Nuova Zelanda – sta in effetti tentando di ripulirsi l’immagine per far dimenticare all’opinione pubblica e ai partiti che corteggia le svastiche pitturate sulle sinagoghe a 17 anni e i tragicomici blocchi navali anti-migranti del 2017, quando il suo stesso battello fu soccorso da una ONG nel Mediterraneo. Dopo l’AfD in Germania, la strategia sta funzionando anche in Austria, dove l’FPÖ, primo partito alle ultime elezioni, considera “moderati” gli identitari di Sellner e ha adottato la remigrazione nel programma elettorale.
Il pubblico
A proteggere lo svolgimento del summit, impedendo l’accesso ai non accreditati, c’erano alcuni membri della Junge Tat, un gruppo svizzero di estrema destra numericamente piccolo ma giudicato così pericoloso – per la simbologia neonazista, le attività di addestramento paramilitare, le violenze e le intimidazioni pubbliche – da essere stato menzionato in un rapporto dell’Europol, l’agenzia dell’Unione europea finalizzata alla lotta al crimine, sul terrorismo. Dentro il teatro, ascoltava gli oratori uno dei più conosciuti suprematisti bianchi americani, Jared Taylor, fondatore della rivista, ormai defunta, American Renaissance, che ha accolto contributi dei peggiori razzisti statunitensi, come appartenenti al Ku Klux Klan. «È stato uno degli eventi più stimolanti a cui abbia partecipato negli ultimi anni», ha commentato a posteriori su X.
Non è, invece, riuscito a raggiungere Gallarate, respinto all’aeroporto di Malpensa, come Facta aveva per prima rivelato, l’estremista di destra danese e piromane di Corani Rasmus Paludan. Un entusiastico messaggio di sostegno per la remigrazione è infine arrivato dal club dei giovani repubblicani di New York, che annualmente organizzano un fastoso gala invitando membri del partito repubblicano ed estremisti di destra da ogni parte d’America e d’Europa.

Gli italiani
Primo partito a menzionare la remigrazione in Italia, la Lega era presente in forze al Remigration summit. L’europarlamentare e generale Roberto Vannacci ha inviato un videomessaggio, sottolineando come «la remigrazione non sia uno slogan, ma una proposta concreta», una misura «di buon senso» e «civiltà» per «riaccompagnare nei loro Paesi d’origine coloro che non rispettano le nostre leggi, che rifiutano i nostri valori e disprezzano la nostra cultura». Ha infine promesso di portare questa battaglia nelle sedi europee.
Anche le europarlamentari Isabella Tovaglieri e Silvia Sardone sono comparse in video – la prima è poi anche passata di persona a Gallarate – con due discorsi, rispettivamente sulla libertà di espressione e sulla minaccia dell’islamizzazione dell’Italia, che hanno tuttavia fatto storcere il naso a qualche presente – come scrive un anonimo autore italiano su Counter-Currents – perché troppo poco in linea con la radicalità del summit.
In effetti, anche gli altri leghisti convenuti al teatro come spettatori – come il responsabile esteri della Lega giovani Davide Quadri e l’ex direttore di TelePadania Max Ferrari – hanno con decisione negato l’evidenza, cioè che la remigrazione, per come è stata presentata dagli speaker, significhi qualcosa di più dell’espulsione degli immigrati illegali e che delinquono. A metà mattinata ha raggiunto il summit il sindaco Andrea Cassani, aggiungendosi ai colleghi di partito, tra i quali Alessandro Corbetta e Alessandro Verri, consigliere comunale a Milano.
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