
Come le teorie del complotto su Epstein sono arrivate al cuore della politica statunitense
Quello che era nato come l’atto d’accusa MAGA contro le istituzioni si è trasformato nella più imprevedibile delle grane per l’amministrazione Trump
In tempi ordinari, la saga di Jeffrey Epstein – l’imprenditore finanziario e molestatore seriale morto suicida in un carcere di Manhattan nell’agosto del 2019 mentre era in attesa di giudizio per traffico sessuale di minori – non avrebbe mai assunto rilevanza politica. È diventata importante non per ciò che è stata nella cronaca giudiziaria, ma per ciò che ha simboleggiato in un immaginario MAGA inquinato dalle teorie del complotto. Gli stessi influencer trumpiani ne sono sempre stati consapevoli. Alla gente «non importa personalmente di Epstein», ha confermato di recente Jack Posobiec in un’intervista al media statunitense di estrema destra Breitbart News. «Le importa la prospettiva che Epstein fosse in qualche modo coinvolto in un sistema oscuro che controlla realmente il governo, le istituzioni, le nostre vite, e sia in effetti un potere che ci domina», ha precisato Posobiec.
Un sondaggio di metà luglio ha dato corpo a queste sensazioni: solo il 20 per cento dell’elettorato ha seguito da molto vicino la vicenda, che ha coinvolto da un lato della barricata i repubblicani MAGA più agguerriti e, dall’altro, i democratici per cui la gestione del dossier Epstein è la cartina di tornasole dell’ipocrisia trumpiana.
Il vaso di Pandora del complottismo trumpiano
Per i sostenitori del presidente, il caso Epstein ha insomma rappresentato una scorciatoia per la verità, il vaso di Pandora che, una volta scoperchiato, avrebbe dimostrato la corruzione morale dell’establishment democratico contro cui Donald Trump si è scagliato fin dall’inizio della sua avventura politica. Al centro delle fantasie una fantomatica lista, redatta da Epstein in persona e contenente i nomi degli amici dell’élite democratica e di Hollywood cui avrebbe procurato ragazze minorenni per abusarne sessualmente. È stato lo stesso Donald Trump a cavalcare le teorie del complotto, insinuando, già in un post dell’agosto 2019, che il suicidio di Epstein fosse stato una messinscena per coprire i segreti più sordidi dei coniugi Clinton e, in particolare, di Bill, che sull’aereo privato di Epstein – il cosiddetto “Lolita Express” – aveva effettivamente viaggiato nell’ambito delle attività filantropiche svolte dal finanziere all’estero.
Sono state, soprattutto, le circostanze della morte a fomentare sospetti e congetture. Un rapporto del dipartimento di Giustizia americano, rilasciato nel 2023, ha riscontrato gravi negligenze del personale carcerario nella custodia di Epstein, un detenuto a rischio suicidio che, per protocollo, avrebbe dovuto essere monitorato periodicamente e vedersi assegnato un compagno di cella. Anche la copertura delle telecamere di sorveglianza è stata giudicata carente e obsoleta. Un’indagine della CBS, pubblicata il 29 luglio 2025, pur senza invalidare le conclusioni del rapporto ministeriale, ha rilevato discrepanze persino nel racconto ufficiale delle ultime ore di Epstein e ha scoperto che l’FBI e almeno due uffici governativi – giustizia e amministrazione penitenziaria – sono in possesso di una registrazione completa della telecamera dell’unità del carcere dove era detenuto il finanziere, nonostante al pubblico sia stata mostrata, senza spiegazioni, una copia tagliata di un minuto, con la prevedibile conseguenza di alimentare le teorie del complotto.
La stessa figura di Epstein si prestava a diventare oggetto di una spy story. Al momento della morte, il suo patrimonio ammontava a 600 milioni di dollari, disperso tra asset finanziari, un jet privato, un ranch nel New Mexico, una villa a Manhattan e un’intera isola nell’arcipelago delle Isole Vergini americane, dove ospitava giovanissime ragazze e invitati ricchi e famosi. Pochissimo, tuttavia, si sa di come Epstein sia riuscito, da ex insegnante in un liceo privato di New York, ad approdare a Wall Street prima e ad accumulare una simile fortuna poi, gestendo una rete di contatti così potenti, tra cui Bill Gates e il principe britannico Andrea.
Secondo una delle voci più insistenti, Epstein sarebbe stato al servizio del Mossad, i servizi segreti esteri israeliani, anche per via di una partnership con una società di cui era azionista l’ex primo ministro Ehud Barak. La tesi, che Benjamin Netanyahu aveva indirettamente contribuito a gonfiare per screditare il suo avversario politico di allora, è stata seccamente smentita dall’ex premier Naftali Bennett, ma è stata di recente rilanciata dall’ex conduttore di Fox News Tucker Carlson con toni pericolosamente vicini all’antisemitismo. “L’isola dei pedofili” – questo il soprannome dato dai locali alla proprietà di Epstein nei Caraibi – sarebbe così stato il luogo perfetto per tramare ricatti sessuali che avrebbero condizionato le scelte politiche ed economiche a livello mondiale.
In questo scenario spionistico, un ruolo decisivo lo avrebbe giocato la migliore amica e complice di Epstein, Ghislaine Maxwell, condannata nel 2022 a 20 anni di carcere per aver reclutato vittime sessuali per conto del finanziere. Ghislaine è infatti figlia del magnate dei media ed ex politico britannico Robert Maxwell, definito “superspia di Israele” per sospette collaborazioni con l’intelligence di Tel Aviv e lui stesso morto misteriosamente per una caduta dal suo yacht nel 1991.
L’amplificazione maggiore alla vicenda l’ha tuttavia data la sua intersezione con la teoria del complotto di QAnon, che postula l’esistenza di una cabala di pedofili e satanisti nelle sfere più inaccessibili delle istituzioni americane, il cosiddetto Deep State. Manco a dirlo, gli organizzatori della malefica cospirazione sarebbero i politici democratici e le celebrità liberal, che rapirebbero bambini per suggerne un elisir di lunga vita in perversi riti luciferini.
Al momento della morte di Epstein, nel 2019, QAnon era ancora il culto di una nicchia. Sarebbe esploso solo un anno più tardi, accelerato dall’isolamento del lockdown, dalle teorie del complotto sulla pandemia e dall’endorsement determinante di Donald Trump, fino a essere ritenuto vero dal 17 per cento degli americani.
Il leader repubblicano era gratificato dalle attenzioni di QAnon, che lo celebrava come salvatore dell’umanità dai pedosatanisti, e nel giro di un paio d’anni è passato da elogiarne i seguaci come patrioti fino a propagandarne direttamente i contenuti.
La retromarcia una volta al potere
Una volta eletto per la seconda volta alla Casa Bianca e a ricompensa dell’appoggio complottista, Trump ha nominato ai vertici dell’FBI, rispettivamente come direttore e vice, Kash Patel e Dan Bongino, due commentatori politici che hanno entrambi tentato di compensare la scarsa esperienza nelle gerarchie federali corteggiando i seguaci di QAnon e costruendosi una credibilità di avvocati della trasparenza assoluta proprio sul caso Epstein. Il motto era: «Jeffrey Epstein non si è ucciso da solo».
Prima di essere nominato direttore dell’FBI, Patel si era, ad esempio, detto sicuro che la lista dei clienti di Epstein, il suo “libro nero”, fosse nella mani del capo del Bureau. Si capiscono, di conseguenza, l’eccitazione dei complottisti alla prospettiva di occupare con uomini di fiducia le cariche più elevate di Washington e il successivo malcontento quando, lo scorso maggio, Patel e Bongino hanno ritrattato pubblicamente, su Fox News, tutto ciò che avevano sempre sostenuto, ammettendo che Epstein si era impiccato nella sua cella.
«Le teorie del complotto semplicemente non sono vere, non lo sono mai state», è stata l’obbligata retromarcia di Patel, in un post su X, dopo che l’agenzia da lui diretta ha pubblicato un rapporto in cui esclude che Epstein ricattasse figure potenti, che ne registrasse i nomi su una lista nera e che sia stato assassinato per essere messo a tacere.
Secondo fonti di Axios e della CNN, l’imbarazzo avrebbe spinto Bongino ad assentarsi un giorno dal lavoro e a valutare le dimissioni, anche in polemica con la procuratrice generale Pam Bondi, che a febbraio aveva consegnato a selezionati influencer trumpiani duecento – e piuttosto insignificanti – documenti declassificati sul caso Epstein con l’implicita promessa di divulgarne di nuovi e molto più scottanti. In un’intervista dello stesso mese a Fox News, Bondi aveva addirittura millantato che l’inesistente lista dei clienti di Epstein fosse sulla sua scrivania, pronta per essere esaminata. Nei mesi seguenti, le sue fughe in avanti si erano moltiplicate: aveva ipotizzato che i democratici stessero facendo di tutto per proteggere i nomi coinvolti nei traffici di Epstein e aveva dichiarato alla stampa che l’FBI conservava decine di migliaia di video di Epstein in compagnia di bambini.
Pur avendo incassato il rinnovato sostegno del presidente, Bondi è così finita nel mirino dei MAGA più irriducibili, tanto che, dalla pubblicazione del rapporto dell’FBI, non è più apparsa nelle trasmissioni di Fox News, nonostante ne fosse un’abituale invitata. Da Trump è infatti arrivato l’ordine di ignorare il più possibile la vicenda, e la Fox si è prontamente adeguata, riducendo al minimo la copertura sugli sviluppi del caso e distraendo l’attenzione con nuove teorie del complotto sulle elezioni del 2016 e artefatte “guerre culturali” sullo spot dell’attrice Sydney Sweeney per il marchio di jeans American Eagle.
In un lungo post sul suo social Truth, il 16 luglio, Trump ha poi ammonito i suoi elettori dal non cadere in quella che ha definito «la nuova truffa» dei democratici. Dopo aver lasciato intendere in campagna elettorale che, se rieletto, avrebbe declassificato i file governativi su Epstein, l’ultima, ardita strategia del leader repubblicano per sopravvivere allo scandalo è infatti trasformare la teoria del complotto MAGA su Epstein in un complotto dei suoi avversari politici contro di lui.
L’FBI – ha detto Trump in un’intervista all’emittente Real America’sVoice – «potrebbe indagare anche su questa bufala di Jeffrey Epstein, perché è sempre la stessa roba messa in giro dai democratici, e sapete che alcuni ingenui repubblicani vi si allineano subito». Per quanto assurdo, sarebbero quindi stati Barack Obama, Hillary Clinton e i funzionari dell’amministrazione Biden a diffondere infamanti calunnie sul proprio conto, in qualche modo profetizzando che queste si sarebbero, anni dopo, ritorte contro i sostenitori trumpiani e ne avrebbero scompaginato i ranghi.
La reazione rabbiosa del mondo MAGA
«Barack Obama ha scritto i file di Epstein? LOL. È una cosa davvero imbarazzante», ha replicato la polemista e complottista di destra Candace Owens, facendosi portavoce delle perplessità del mondo MAGA. È stato, tuttavia, il più potente degli ex alleati del presidente a cavalcare la pessima gestione dello scandalo da parte della nuova amministrazione. Dopo aver ventilato, in un post subito cancellato, che il nome di Trump comparisse nei file di Epstein, Elon Musk ha accusato il governo di insabbiare la verità sul caso e ha contribuito ad amplificare le teorie del complotto garantendo, attraverso il suo social X, una piattaforma alle personalità di destra espulse dai media tradizionali, come Tucker Carlson, Alex Jones e la stessa Owens.
Le denunce di Musk hanno successivamente trovato parziale riscontro in un’inchiesta del Wall Street Journal, secondo cui Bondi avrebbe rivelato, in via riservata, a Trump che il suo nome era fra quelli menzionati nei documenti del caso. Una settimana prima, un altro scoop del quotidiano newyorchese aveva portato alla luce un disegno “osceno” che Trump avrebbe regalato a Epstein per il suo cinquantesimo compleanno, nel 2003.
Trump ed Epstein sono stati effettivamente molto vicini in passato, al punto che, nel 2017, il finanziere ha affermato di esserne il più caro amico e, a sua volta, Trump lo aveva lodato, nel 2002, come «un ragazzo fantastico». «È molto divertente stare con lui. Si dice anche che gli piacciano le belle donne tanto quanto me, e che molte di loro siano più giovani», aveva confessato l’allora imprenditore al New York Magazine. Trump ha ammesso di essere stato amico di Epstein per quindici anni, fino al 2004, quando un litigio su una questione immobiliare avrebbe interrotto i loro rapporti. Secondo una diversa cronologia, fornita dallo stesso Trump, questi avrebbe tagliato i ponti con Epstein solo tre anni più tardi, nel 2007, dopo che il finanziere avrebbe «rubato» alcuni suoi dipendenti dalla residenza di Mar-a-Lago, tra cui Virginia Giuffre, una delle principali accusatrici di Epstein, morta suicida quest’anno.
Per placare la rivolta di una parte della sua base e le accuse di «essere diventato lo Stato Profondo» e di «coprire i pedofili», Trump ha fatto mostra di non aver nulla da nascondere, chiedendo di rendere pubbliche le trascrizioni del gran giurì nell’indagine su Maxwell. La speranza sembra quella di creare l’ennesimo diversivo, offrendo un accordo di collaborazione all’ex socia di Epstein in cambio della rivelazione di nuovi nomi. Il tentativo, però, si è già scontrato con il diniego dei giudici, che all’inizio di agosto hanno respinto la richiesta perché non sussistono le condizioni per la divulgazione: i materiali sotto sigilli non conterrebbero, infatti, informazioni inedite.
I motivi dietro l’ossessione complottista sulla vicenda di Epstein
Perché questo dramma di secondo piano sia diventato tanto importante è una domanda che tormenta da anni i commentatori americani e che, nelle ultime settimane, anche Trump è stato costretto a porsi mentre il caso Epstein gli esplodeva fra le mani. «Non capisco perché il caso di Jeffrey Epstein dovrebbe interessare a qualcuno», ha detto. «È roba piuttosto noiosa. È sordida, ma è noiosa, e non capisco perché se ne continui a parlare».
Secondo David French, editorialista del New York Times, la vicenda è assurta a elemento d’accusa contro la classe dirigente americana e contro un governo percepito come oscurato da troppe zone d’ombra. Per il Wall Street Journal, invece, è la conseguenza della speculazione sulle teorie del complotto cui Trump è dedito da prima che si candidasse alla presidenza.
«Queste ipotesi, però, non spiegano a sufficienza perché ci sia un’ossessione specifica per Epstein e per la pedofilia», ha riflettuto Amanda Marcotte su Salon. Secondo la giornalista, le teorie del complotto su Epstein sono un meccanismo psicologico di coping, una strategia di adattamento emotivo e cognitivo per sopportare l’evidenza che Trump e la sua cerchia mentano di continuo senza alcun pudore e si trascinino problemi di natura giudiziaria e morale difficilmente sostenibili per la persona media. Solo immaginando che i democratici siano precipitati in un abisso di depravazione totale, come la pedofilia, e che Trump, pur con i suoi difetti, sia il solo impegnato a combatterlo senza riserve, i supporter MAGA ottengono la licenza per assolvere sé stessi e il loro leader e, soprattutto, per autorappresentarsi come “i buoni”.
Il caso Epstein è, in effetti, solo l’esempio più vistoso di come opera il sistema mediatico trumpiano, costantemente alla ricerca di teorie del complotto per intrappolare l’elettorato di destra in una bolla di disinformazione e in una gabbia di polarizzazione politica. Ma è anche la dimostrazione del legame ormai indissolubile del partito repubblicano con imbarazzanti figure complottiste, fino ai più alti livelli del governo.
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