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La tecnica inventata dalla disinformazione che piace molto ai social dell’amministrazione Trump

Da anni immagini e video vengono presentati online fuori contesto. Ora questa strategia è usata dalla comunicazione ufficiale della Casa Bianca

6 novembre 2025
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Da anni la disinformazione utilizza contenuti fuorvianti per portare avanti specifiche narrazioni false. In particolare a essere impiegati per questo scopo sono foto e video. Immagini e clip vengono lanciate sui social media con descrizioni “gridate” e inventate che in realtà non corrispondono al reale contesto della scena mostrata. Si tratta di una disinformazione visiva molto semplice da mettere in pratica – e per questo molto utilizzata – che riesce a viralizzare rapidamente i contenuti e ingannare moltissimi utenti online. 

Secondo una recente inchiesta giornalistica, questa potente metodologia disinformativa è entrata a far parte della comunicazione istituzionale dell’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump, che la sta utilizzando per plasmare il dibattito pubblico nel Paese per i propri fini politici.  

La potenza della disinformazione visiva

Questa forma di disinformazione può essere particolarmente pericolosa perché le immagini sono un potente strumento per influenzare l’opinione pubblica e promuovere credenze infondate, spiegava nel 2020 su The Conversation Lisa Fazio, esperta di psicologia e sviluppo umano.

All’epoca Fazio aveva elencato le varie ragioni per cui le foto e i video possono aumentare la propensione delle persone a credere a false affermazioni. Innanzitutto, aveva specificato l’esperta, «siamo abituati al fatto che le fotografie vengano utilizzate per il fotogiornalismo e servano come prova che un evento è accaduto». Inoltre, «vedere un’immagine può aiutare a recuperare più rapidamente le informazioni correlate dalla memoria. Le persone tendono a usare questa facilità di recupero come un segnale che l’informazione è vera. Le fotografie aiutano anche a immaginare più facilmente un evento che si verifica, il che può farlo sembrare più vero». Infine, aveva aggiunto Fazio, le immagini catturano semplicemente l’attenzione: «Uno studio di Adobe del 2015 ha rilevato che i post che includevano immagini ricevevano più di tre volte le interazioni su Facebook rispetto ai post con solo testo».

Ad esempio, nel 2019 sui social era diventata virale in più parti del mondo la semplice foto di un prato pieno di cartacce e sporcizia. Lo scatto era accompagnato da un testo che lo descriveva come un parco la mattina del 21 aprile di quell’anno, dopo il Global Climate Strike, una protesta internazionale svoltasi in quei giorni in più parti del mondo contro il cambiamento climatico e l’industria dei combustibili fossili. In realtà la foto non aveva nulla con a che fare con le proteste degli ambientalisti. L’immagine, infatti, mostrava invece Hyde Park a Londra dopo l’annuale evento del Weed Day, giorno in cui, in diversi parti del mondo, viene celebrata la cannabis e si protesta contro la sua criminalizzazione.

Questo performante metodo disinformativo ha trovato un ampio utilizzo in particolare nella propaganda contro le persone migranti, alimentata online da social attivisti di estrema destra, per farli apparire all’opinione pubblica come violenti per natura e dipingere il fenomeno migratorio come un pericolo per la stessa sopravvivenza delle società occidentali. Uno degli esempi più eclatanti è l’account X @RadioGenoa che ai suoi 1,4 milioni di follower condivide in modo continuativo video che mostrano persone nere o di fede islamica al di fuori del loro contesto originario e corretto, spesso accompagnandoli con informazioni fuorvianti o false. Questi post raggiungono miliardi di visualizzazioni e molte volte è capitato che siano stati rilanciati anche da politici di estrema destra di diversi Paesi. Lo stesso proprietario di X, Elon Musk, nel 2023 aveva ricondiviso dal suo profilo da oltre 220 milioni di follower un tweet fuorviante pubblicato da @RadioGenoa sui salvataggi in mare da parte delle ONG per criticare la politica migratoria della Germania.

L’istituzionalizzazione di un metodo disinformativo

Il presidente Donald Trump ha diffuso in più occasioni notizie false e fuorvianti su migranti e l’immigrazione in generale, uno dei temi su cui si è più concentrato nel corso delle sue campagne politiche. Tra le tecniche utilizzate nel corso del tempo dall’esponente repubblicano è presente anche quella appena descritta: la disinformazione visiva, che utilizza video e immagini fuori contesto per far passare un preciso messaggio propagandistico.

Nel 2016, durante la corsa per le presidenziali statunitensi vinte poi da Trump contro Hillary Clinton, il primo spot televisivo del candidato del Partito Repubblicano mostrava immagini di decine di persone in fuga attraverso quello che sembra essere un confine nazionale, mentre una voce fuori campo diceva: «Fermerà l’immigrazione illegale costruendo un muro sul nostro confine meridionale che il Messico pagherà». Quelle immagini però non riprendevano un fatto accaduto al confine tra Stati Uniti e Messico, ma una scena verificatasi nel 2014 tra Marocco e Spagna, quando centinaia di persone migranti avevano tentato di superare il muro che separa Melilla, una delle due enclavi sulla costa marocchina controllate dalla Spagna, dal Paese africano.

L’anno successivo, durante il suo primo mandato da presidente degli Stati Uniti, Trump condivise dal suo profilo Twitter (ora X) un video diffuso da un gruppo britannico di estrema destra che ritraeva una persona con le stampelle picchiata da un’altra persona e un testo di accompagnamento in cui si sosteneva che si trattasse di un atto di violenza di un «migrante musulmano» contro un cittadino olandese. Le autorità dei Paesi Bassi avevano però chiarito che il video in questione non mostrava né un musulmano né una persona migrante. Per difendere Trump dalle accuse di aver rilanciato un video fuorviante e non verificato, l’allora portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders disse «Che si tratti o meno di un video reale, la minaccia è reale, ed è di questo che sta parlando il presidente».

Più recentemente, a maggio 2025, per sostenere la teorie del complotto infondata del “genocidio dei bianchi in Sudafrica”, nel corso di un incontro pubblico alla Casa Bianca con il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, Donald Trump ha mostrato un’immagine presentandola come la prova di uccisioni di massa di sudafricani bianchi. In realtà, come verificato dai fact-checker della Reuters, quello scatto era uno screenshot di un video della stessa agenzia di stampa britannica girato nella Repubblica Democratica del Congo che mostrava una sepoltura di massa in seguito a un assalto dei ribelli del “Movimento del 23 marzo” (M23), gruppo paramilitare congolese sostenuto dal Ruanda.  

Ora un’inchiesta condotta dal Washington Post ha mostrato come questo tipo di disinformazione visiva sia diventata una vera e propria strategia ufficiale di comunicazione portata avanti dall’amministrazione Trump per costruire narrazioni propagandistiche e celebrare i presunti risultati delle sue politiche.

Exclusive: The Trump administration has used misleading footage to promote its immigration agenda in at least six videos in the last three months.

Some videos that purported to show chaos in Trump-targeted cities had footage from completely different states.

[image or embed]

— The Washington Post (@washingtonpost.com) 29 ottobre 2025 alle ore 19:00

Con l’arrivo del tycoon alla Casa Bianca, il dipartimento per la sicurezza interna (DHS) ha avviato un’intensa strategia digitale che, tramite foto e video dei raid dell’ICE – l’agenzia federale responsabile del controllo delle frontiere e dell’immigrazione – rilanciate sui social media ufficiali delle istituzioni americane, ha puntato ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica statunitense e a tentare di condizionare il dibattito sull’immigrazione. 

Ad esempio questa estate il DHS ha diffuso sul proprio account X il video di una serie di operazioni dell’ICE che scorrono in sottofondo mentre un funzionario del dipartimento afferma che la capitale Washington D.C. è ora più sicura. Come ha però scoperto il quotidiano statunitense, molti dei filmati mostrati erano in realtà stati registrati durante operazioni di mesi prima a Los Angeles, California, e a West Palm Beach, in Florida. Inoltre, continua il WAPO, «l’audio del funzionario sulle deportazioni a Washington è stato riprodotto sopra un filmato di maggio che mostrava detenuti su una nave della Guardia Costiera al largo di Nantucket, l’isola del Massachusetts a 400 miglia di distanza». 

L’inchiesta ha rivelato che non si è trattato di un singolo episodio, ma che «i funzionari dell’amministrazione del presidente Donald Trump hanno utilizzato filmati altrettanto fuorvianti in almeno sei video che promuovevano il suo programma sull’immigrazione, condivisi negli ultimi tre mesi, confondendo la realtà degli eventi in clip virali che sono state visualizzate milioni di volte». Video presentati come delle scene di caos nelle città prese di mira da Trump, «includevano in realtà riprese provenienti da stati completamente diversi. Uno che sosteneva di mostrare esempi drammatici dei fallimenti delle amministrazioni passate mostrava invece attraversamenti di frontiera e imbarcazioni di contrabbando, registrati durante il primo mandato di Trump», ha verificato il quotidiano statunitense. 

In un altro caso è stato condiviso a ottobre 2025 sui social del DHS un video di scontri con un messaggio sovrapposto in cui si diceva che «terroristi antifa» avevano fatto irruzione in strutture federali a Portland, Oregon. Questo contenuto sembrava rafforzare l’affermazione fatta da Trump secondo cui la città dell’Oregon fosse stata sopraffatta da violenti esponenti della sinistra che la stavano «radendo al suolo», continua il WaPo. Dopo la condivisione della clip, il giornalista Ford Fischer si è tuttavia reso conto che questa proveniva da un suo filmato registrato il mese precedente e pubblicato sul suo profilo X che mostrava in realtà manifestanti che cercavano di bloccare il cancello di una struttura dell’ICE, a Broadview, nell’Illinois, a oltre 2700 km di distanza dal luogo indicato dal dipartimento di sicurezza interna. Inoltre, nel filmato condiviso in origine dal giornalista era presente un testo con il suo nome in sovraimpressione per indicare la fonte del filmato. Nella clip rilanciata in maniera fuorviante dal DHS quella scritta era stata rimossa.  

Contattato dal Washington Post, la portavoce del DHS, Tricia McLaughlin, ha ribattuto che i video segnalati rappresentavano solo una piccola percentuale degli oltre 400 pubblicati dall’agenzia quest’anno: «La violenza e le rivolte contro le forze dell’ordine sono inaccettabili, indipendentemente da dove si verifichino». Per John Cohen, ex funzionario del dipartimento di sicurezza interna che ha lavorato su questioni di intelligence e di applicazione della legge federale sia sotto le amministrazioni democratiche che repubblicane, tuttavia, questa condivisione di contenuti fuorvianti e polarizzanti potrebbe indebolire a lungo termine la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. «Durante il suo mandato al governo, ha affermato Cohen, le forze dell’ordine e i funzionari della sicurezza hanno lavorato per garantire che “qualsiasi messaggio o contenuto diffondessimo fosse assolutamente accurato”, temendo che informazioni fuorvianti avrebbero spinto le persone a ignorarli durante le emergenze nazionali», spiega il quotidiano. Secondo Eddie Perez, ex responsabile dell’integrità civica di Twitter (ora X), con questa strategia comunicativa l’amministrazione Trump si sta concentrando sulla manipolazione emotiva piuttosto che su una comunicazione basata sulla realtà dei fatti.

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