
La disinformazione ricorrente che collega migrazione e criminalità
Violenti “per natura”, misogini, pedofili: conoscere le narrazioni infondate più diffuse che alimentano la retorica xenofoba contro le persone migranti per ridurne l’impatto
Nel 2019, in Italia, due casi di cronaca nera apparentemente slegati tra di loro innescarono altrettante narrazioni basate sullo stesso presupposto infondato: esiste una netta correlazione tra migranti e crimine. Le persone non occidentali, di cittadinanza o anche solo d’origine, soprattutto se nere e/o di fede islamica, avrebbero una particolare inclinazione verso crimini brutali ed efferati.
Il primo caso riguardava l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega, a Roma. Nelle prime ore dopo l’evento, diventò virale sui social la notizia secondo cui i responsabili sarebbero stati “quattro nordafricani”. La storia era completamente infondata: i colpevoli erano in realtà due studenti statunitensi. Nel frattempo, però, le foto segnaletiche dei presunti colpevoli nordafricani fecero il giro del web.
Il secondo caso riguardava invece l’assassinio di Pamela Mastropietro a Macerata da parte di un cittadino nigeriano; sul caso si sparse la voce che la ragazza fosse stata sottoposta a rituali voodoo, cannibalismo e pratiche di “magia nigeriana”. Questi dettagli macabri, però, non hanno mai trovato conferma da parte degli investigatori.
Raccontare fatti di cronaca con dettagli inventati non è una peculiarità solo italiana: anche nel resto d’Europa, negli ultimi anni, si sono verificati casi simili. Dopo l’accoltellamento mortale di tre bambine avvenuto nel luglio 2024 a Southport, Regno Unito, era stata diffusa sui social media la storia falsa secondo cui il responsabile fosse un “immigrato musulmano”. L’assassino era in realtà un giovane nato a Cardiff da genitori ruandesi. Nel luglio 2025, a seguito dell’aggressione di un residente di Torre Pacheco, in Spagna, erano circolate le foto di “cinque nordafricani” descritti come responsabili. In realtà, i cinque individui rappresentati in foto non avevano nulla a che vedere con l’aggressione.
In questi ultimi due casi, in particolare, la disinformazione aveva contribuito ad alimentare disordini, manifestazioni violente e attacchi a persone di diverse etnie per strada, a luoghi di culto musulmani e anche alla polizia.
Una strategia ormai nota
Le notizie false che iniziano a circolare nelle ore che seguono un caso di cronaca, sia esso un omicidio o un’aggressione, nascono spesso da un vuoto informativo relativo all’identità del responsabile. Un vuoto che viene prontamente riempito da notizie infondate. Sui social, dove spesso non c’è molto spazio per la ponderazione razionale e per il dubbio, diventano quindi virali quei post che additano i colpevoli con certezza. Nel 2023, nelle ore successive all’assassino di una commerciante locale a Madrid, in Spagna, era circolata la notizia falsa secondo cui il responsabile fosse un uomo marocchino: gli assassini erano in realtà una coppia di cittadini spagnoli.
Storie di questo tipo vengono spesso messe in circolo sui social da pagine che pubblicano principalmente contenuti razzisti e che vogliono propagandare l’idea che esista un’emergenza di sicurezza pubblica nazionale causata dalle persone migranti. In Italia, una di queste pagine è @CriminImmigratl, che pubblica ogni giorno su X articoli basati su notizie infondate o fuorvianti. Un altro account di questo tipo, che pubblica contenuti in inglese, è @RadioGenoa: da anni, la pagina diffonde video di scene violente di singoli individui per disinformare sulla presunta relazione tra immigrazione e crimine.
A queste pagine si aggiungono i profili degli influencer di estrema destra, come @Massimo65755300, che si definisce “anti islamico e anti comunista” e condivide spesso articoli di VoxNews, blog che scrive notizie infondate o fuorvianti su persone migranti, accompagnate da immagini generate con intelligenza artificiale. Tra gli altri influencer attivi in questo campo, anche Francesco 🇮🇹(@SaP011), che spesso condivide storie fuorvianti a partire da reali articoli di giornale, e Francesca Totolo (@fratotolo2), attivista di estrema destra e firma del Primato Nazionale, testata giornalistica vicina al movimento neofascista CasaPound.
Il denominatore che accomuna questi account è la loro metodologia disinformativa: immagini e video che ritraggono persone nere (o comunque non bianche) vengono estrapolate dal loro contesto originale per diffondere una narrazione che generi paura e odio. Ad ottobre 2025, @CriminImmigratl ha pubblicato la notizia di un presunto assalto a una stazione in Brianza da parte di “nordafricani”: si trattava in realtà di una rissa nata da una lite tra conoscenti, che ha coinvolto nove cittadini stranieri di nazionalità romena, egiziana e marocchina.
In altri casi, vengono sfruttati in maniera fuorviante i titoli degli articoli di giornale, condivisi sui social con una storia di contorno inventata o distorta. Ad agosto 2025, in chiave xenofoba, è circolata la notizia secondo cui il governo del Pakistan avrebbe autorizzato uno “stupro per vendetta” nei confronti della sorella di un uomo accusato di aver violentato una donna. In realtà, questa pratica è vietata dal governo pachistano ed è diffusa solamente in alcuni centri rurali come retaggio di tradizioni basate sul concetto di “giustizia fai da te”.
Con lo sviluppo dei modelli generativi basati sull’intelligenza artificiale (IA), si è assistito poi a un’impennata di contenuti artificiali che permettono di diffondere notizie infondate o fuorvianti ancora più facilmente. In seguito all’assalto del 25 ottobre 2025 al liceo genovese Leonardo Da Vinci, @CriminImmigratl ha pubblicato l’immagine IA di un gruppo di uomini neri descritti come i presunti colpevoli. In realtà, ad oggi, l’etnia (e la cittadinanza) dei responsabili non è nota: si sa solo che si tratta di minorenni.
Il filo conduttore tra tutti questi contenuti, oltre alla metodologia disinformativa, è il lessico. La disinformazione dà per assunto che le persone nere riprese nei video siano migranti irregolari, e le descrive ironicamente come “risorse”; con questo termine, l’intento è deridere l’argomentazione secondo cui la migrazione sarebbe per l’appunto una risorsa che potrebbe arricchire e far prosperare l’Italia, o più in generale il Paese di destinazione. Un altro termine abusato in questo tipo di contenuti è “maranza”, parola con forte connotazione razziale con la quale molto spesso ー anche sui media italiani ー ci si riferisce ai gruppi di giovani che frequentano sfere di criminalità. Sui social, gli influencer di estrema destra evidenziano in maniera marcata la presunta componente razziale, alimentando la convinzione che il fenomeno della criminalità giovanile “di seconda generazione” sia emergenziale in tutto il Paese. In realtà, anche se a livello mediatico questo fenomeno è esploso negli ultimi anni, non c’è riscontro di questo aspetto a livello di dati. La criminalità giovanile in Italia è in diminuzione, e inoltre non è comprovato che la maggior parte di questi attori criminali abbiano specifici connotati etnici.
A rafforzare il potenziale disinformativo di questi contenuti si aggiunge la costanza con cui vengono pubblicati: la loro diffusione, infatti, non è strettamente legata ai casi di cronaca di risonanza nazionale. Gli influencer di estrema destra fanno circolare spesso storie fuorvianti che hanno come protagonisti le persone migranti, il più delle volte non occidentali e musulmane, e anche i loro Paesi di provenienza. Lo scopo, in entrambi i casi, è quello di dipingerli come barbari, incivili, pericolosi e non compatibili con la cultura occidentale. A Facta abbiamo identificato spesso alcune delle narrazioni infondate che si basano su questo presupposto e diffondono la teoria infondata secondo cui i migranti sarebbero intrinsecamente legati al crimine.
La violenza “innata”
Anche senza il pretesto di un effettivo crimine, la disinformazione spesso crea ad arte storie di presunte aggressioni mai avvenute ai danni di cittadini locali bianchi da parte di gruppi di persone migranti. Nel 2020, la notizia di un uomo che aveva perso i sensi per strada a Taranto era stata rilanciata sui social come se la causa di questo suo malessere fosse stato un pestaggio da parte di stranieri. La notizia era stata anche condivisa da una testata giornalistica nazionale, ma era completamente inventata ed era stata smentita dalle telecamere di sicurezza, che non mostravano alcun pestaggio.
In altri casi, immagini o video fuori contesto vengono sfruttati per incolpare persone migranti di reati mai commessi e rinforzare la narrazione secondo cui sarebbero persone aggressive. A marzo 2025, ad esempio, era circolato il video di una presunta aggressione di massa da parte di un gruppo di migranti nei confronti della polizia spagnola. Ma il video mostrava in realtà un assalto alle forze dell’ordine spagnole da parte di negazionisti della Covid-19 al termine di una manifestazione anti-lockdown del 2020. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, anche i rifugiati ucraini sono stati colpiti da questa strategia disinformativa, e svariati video e immagini fuori contesto li hanno dipinti più volte, senza alcun motivo fondato, come responsabili di incendi e attacchi a civili per strada.
Nonostante si siano registrati casi di aggressioni e crimini da parte di persone migranti, la retorica che le dipinge come “violente per natura” è particolarmente pericolosa perché può arrivare a giustificare i presupposti del cosiddetto “razzismo scientifico”, teoria infondata secondo cui ci sarebbe una “superiorità genetica” della “razza bianca”.
La “discriminazione” dei bianchi
Oltre alla presunta “emergenza di sicurezza nazionale” paventata da questi contenuti, la disinformazione di estrema destra si concentra anche sulle presunte ingiustizie subite dagli attivisti bianchi anti-immigrazione, che sarebbero soggetti a una repressione della libertà di parola. In questo senso le storie false che circolano in Italia provengono soprattutto dal Regno Unito, dove la polizia avrebbe un pregiudizio razziale nei confronti dei bianchi, che sarebbero vittima di un complotto giudiziario. La narrazione ha preso piede soprattutto dopo le violente proteste anti-immigrazione di agosto 2024, alimentate dalla disinformazione relativa all’omicidio di Southport.
Per sostenere la tesi del complotto giudiziario, la disinformazione diffonde a ripetute riprese storie di uomini e donne bianchi che sarebbero stati arrestati ingiustamente, «solo per aver condiviso un post sui social media» o per aver affisso un adesivo anti-immigrazione in città. Tutti questi contenuti sono costruiti allo stesso modo: poche righe prive di riferimenti politici espliciti, lo screenshot di un articolo (in inglese) della storia in questione, e i volti in primo piano delle persone coinvolte. Gli arresti sono reali, ma le storie sono narrate in maniera fuorviante: le condanne, infatti, riguardano specifici reati come l’incitamento all’odio razziale o reati aggravati da motivi razziali.
Sempre a sostegno di questa narrazione vengono diffuse anche storie infondate secondo cui i cittadini inglesi bianchi (anche bambini) sarebbero vittime di pene più severe e di una giustizia “a due livelli”. Ad agosto 2024, era circolata la notizia secondo cui un ragazzo nero autore di una violenza sessuale sarebbe stato punito meno duramente di due uomini bianchi che avevano pubblicato dei post razzisti sui social. La motivazione della pena ridotta, tuttavia, non era stato il diverso colore della pelle quanto l’età: l’autore della violenza sessuale era infatti un minore. Nel Regno Unito, chi è colpevole di violenza sessuale da minorenne, in particolare sotto i 16 anni, è soggetto a condanne diverse poiché ritenuto meno responsabile penalmente degli adulti.
Casi come questi, che avvengono all’estero, circolano spesso anche in lingua italiana, contribuendo al rafforzarsi delle stesse narrazioni di disinformazione dentro i confini nazionali. La disinformazione sul sistema giudiziario, però, nasce anche in Italia. Qui, in particolare, le notizie fuorvianti si concentrano sulle “toghe rosse”, termine con cui la destra fa riferimento a membri dell’ordine giudiziario che avrebbero una vicinanza politica alla sinistra. Circolano così svariati contenuti secondo cui le “toghe rosse” sarebbero più inclini ad arrestare cittadini italiani piuttosto che stranieri, nonostante siano questi ultimi a compiere i crimini più efferati.
Le società non occidentali, “violente con donne e bambini”
I crimini delle persone migranti riguarderebbero anche, e molto spesso, le “nostre donne”, presunto bersaglio della violenza e misoginia ritenuta intrinseca negli uomini non occidentali. Il messaggio è semplice: le persone che migrano in Italia dai Paesi del Sud Globale sono più propense alla violenza di genere rispetto agli occidentali.
Questa retorica fa leva sul problema reale di sicurezza delle donne, dei loro diritti e della parità di genere in molti Paesi non occidentali. Secondo il Women, Peace and Security Index 2025/26, ci sono ancora svariati Paesi del mondo dove le donne sperimentano difficoltà di questo tipo. Il Global Gender Gap Report 2024 del World Economic Forum, nello specifico, riporta che le regioni occidentali tendono ad avere punteggi di parità di genere più alti.
Questi dati non giustificano però la teoria infondata secondo cui tutti gli uomini provenienti da questi Paesi sarebbero “per natura” più violenti verso le donne rispetto agli uomini occidentali, tesi che riappare sui social in concomitanza di episodi di cronaca come femminicidi o violenze di gruppo. Come dimostra un’analisi di Pagella Politica, questa retorica viene sfruttata in maniera ricorrente dalla propaganda dei gruppi politici dell’estrema destra, che contribuiscono ad alimentare la narrazione con statistiche e dati ingannevoli, i quali prendono poi piede sui social. Da anni circola in Italia un dato secondo cui il 40 per cento degli stupri in Italia sarebbe commesso dai cittadini stranieri, che corrispondono all’8,5 per cento della popolazione residente nel nostro Paese. In realtà si tratta di una statistica fuorviante, per diversi aspetti.
Il primo è che in Italia non si hanno dati precisi sul fenomeno degli stupri, in quanto il reato, nelle statistiche, è registrato nell’insieme delle “violenze sessuali”. Il secondo è che, stando all’Istat, le donne in Italia sono più propense a denunciare un cittadino straniero rispetto a un italiano. Queste statistiche, inoltre, consistono in dati che corrispondono in realtà al numero delle denunce e non al numero effettivo di crimini commessi. Nel caso delle violenze sessuali, una percentuale molto rilevante non viene denunciata, specie quando avviene in ambito domestico o se la vittima conosce già chi commette il reato.
Per rafforzare la tesi degli uomini stranieri violenti “per natura”, la disinformazione diffonde in maniera fuorviante svariate immagini e video provenienti da Paesi non occidentali, con lo scopo di dipingere gli uomini di questi Paesi come violenti verso le donne e i bambini, nonché pedofili. Queste narrazioni infondate fanno leva sull’indignazione suscitata da reali problemi come la violenza di genere e i matrimoni infantili, ancora diffusi in svariate parti del mondo e non sufficientemente contrastati da leggi adeguate. Tuttavia, le storie condivise sui social esacerbano la situazione e diffondono xenofobia. Lo scopo è quello di creare allarmismo, e diffondere l’idea che, se non si agisce a contrasto dell’immigrazione, i Paesi occidentali potrebbero diventare come la disinformazione descrive quelli non occidentali: arretrati, incivili e violenti.
In particolare, soprattutto i Paesi a maggioranza musulmana vengono presi di mira come rappresentativi degli episodi di misoginia e violenza sulle donne. La strategia utilizzata è anche in questo caso la condivisione di foto e video con didascalie e descrizioni del tutto fuorvianti. Quest’estate, ad esempio, è tornata a circolare una foto di giovani donne che sarebbero state rinchiuse in una gabbia dai militanti islamici in Iraq. In realtà, la foto è stata scattata in Egitto durante una protesta a sostegno dell’ex presidente egiziano, Mohamed Morsi, rovesciato all’epoca dall’esercito egiziano durante un colpo di Stato. In quell’occasione alcune ragazze avevano inscenato di stare dentro una gabbia che, come si vede analizzando le immagini della manifestazione, era in realtà aperta da un lato.
Una narrazione particolare che alimenta la xenofobia nei confronti dei Paesi musulmani è anche quella relativa ai matrimoni infantili e alla presunta pedofilia degli uomini locali. Nel corso degli anni, sono circolate a più riprese foto di uomini e bambine vestiti in abiti da cerimonia, spacciate per matrimoni di minori a Gaza. In realtà, le bambine erano delle semplici damigelle d’onore. Ad agosto 2014, il pianto di una bambina dovuto allo sgomento per aver commesso un errore durante la recitazione del Corano era stato usato per diffondere la storia falsa di un suo presunto matrimonio con un adulto. Nel 2025, una scena di violenza domestica in Pakistan nei confronti di madre e figlia è stata descritta come la minaccia a una sposa bambina da parte del marito anziano. O ancora, le foto di tre bambine con la pancia gonfia scattate nel 2003 in Afghanistan sono state usate a più riprese per diffondere l’idea che si trattasse di spose bambine incinte. In realtà, erano bambine con una grave insufficienza cardiaca e la cui pancia, piena di liquido, si era gonfiata.
Nei casi di notizie false diffuse con contenuti provenienti da questi Paesi, la disinformazione sfrutta anche la barriera linguistica per diffondere storie infondate. Nei Paesi presi di mira, infatti, la lingua principale è l’arabo, poco conosciuto in Italia e in Europa. Questo permette ai disinformatori di aggirare il significato corretto di immagini e video che circolano originariamente in arabo, utilizzandole senza che gli utenti non arabofoni ne mettano in dubbio la veridicità. È il caso del video di un uomo che abbraccia una bambina sul divano, diffuso a settembre 2025 per denunciare un presunto caso di matrimonio infantile. Ma come spiegato dalla scritta in sovraimpressione al video e dalla didascalia del contenuto originale – entrambe in arabo –, si trattava di una bambina che stava abbracciando il padre di ritorno dall’annuale pellegrinaggio islamico verso La Mecca.
La politicizzazione della presunta emergenza
Sull’indignazione provocata da questi contenuti infondati si basa poi la disinformazione sulle misure che i diversi partiti politici italiani prenderebbero per contrastare l’immigrazione di persone provenienti da questi Paesi. Secondo la disinformazione, quindi, alcuni rappresentanti politici italiani ー di sinistra ー normalizzerebbero i crimini delle persone migranti. In questo senso, circolano spesso frasi (mai pronunciate) dalla deputata del Partito democratico Laura Boldrini, che nel 2020 avrebbe affermato: «Se qualche migrante stupra, non lo si può condannare, perché lui non conosce le nostre leggi». Si tratta di cose mai dette, che puntano a politicizzare la questione che lega i migranti al crimine. Da anni Boldrini è vittima di un filone disinformativo proprio a causa del suo impegno politico sulla questione migratoria.
Questo tipo di contenuti disinformativi, volti a screditare la sinistra, prendono di mira anche i partiti progressisti e realtà impegnate nel contrasto alla violenza di altri Paesi europei. A settembre 2024, ad esempio, si era diffusa la notizia che il partito spagnolo di sinistra Podemos aveva lanciato il programma “Masturbación Evita Violación” (in italiano, “La masturbazione evita lo stupro”), che prevede volontari «nei punti di relax» delle sedi del partito masturbare le persone migranti «per aiutarle a rilassarsi». In Finlandia, invece, un’associazione che punta a prevenire e ridurre i crimini e le molestie sessuali contro i minori aveva lanciato una campagna con tanto di balletto e canzone per insegnare ai migranti a non violentare le donne. Si tratta, in entrambi i casi, di notizie completamente inventate.
Contenuti che si ripresenteranno in futuro
Dietro a questo filone disinformativo ci sono soggetti che puntano a ottenere consenso (politici, movimenti, gruppi e canali social, e via dicendo) e guadagnano economicamente attraverso l’engagement sui social (account seguiti da milioni di persone che diffondono contenuti polarizzanti). Un fattore che rende probabile che il fenomeno vada avanti anche in futuro.
Chiunque utilizzi i social dovrebbe tenere a mente che la propaganda in tema di stranieri e criminalità non è caratterizzata da argomentazioni razionali, ma si fonda su contenuti che sfruttano paure, pregiudizi e razzismo. La bolla algoritmica di X, Instagram e TikTok (tra gli altri) non fa altro che gonfiare questo fenomeno, viralizzando notizie sensazionalistiche ma non necessariamente veritiere.
Quando ci si imbatte in contenuti che trattano di immigrazione e criminalità, in particolare sui social media, è allora importante chiedersi 一 prima di condividere, mettere like e via dicendo 一 se quello che ci viene mostrato è, prima di tutto, reale oppure generato con l’intelligenza artificiale. Se è reale, bisogna comunque stabilire quando è successo, dove è successo e in che contesto è successo, perché spesso circolano contenuti fuori contesto con didascalie fuorvianti. È poi importante chiedersi che cosa dicono i dati, al di là delle singole storie. E se tali storie trovano riscontro sui mezzi di informazione, dove editori e giornalisti sono maggiormente responsabilizzati rispetto ad anonimi utenti sui social network.
Importanti campanelli d’allarme sono, come abbiamo visto, l’utilizzo di determinati termini (“risorse” per riferirsi ai migranti; “patrioti” per qualificare estremisti di destra; “maranza” per indicare i giovani stranieri di seconda generazione; e via dicendo), di toni sensazionalistici, di un linguaggio che incita o allude alla violenza, o specularmente al vittimismo, di immagini e video fuorvianti o generati con l’IA che esagerano o distorcono compleamente la realtà.
Il problema poi non si limita solo ai social network, ovviamente, ma a volte nasce anche dalla copertura mediatica. Ci sono varie testate giornalistiche di destra che spesso, negli anni, hanno contribuito alla diffusione di notizie fuorvianti relative al fenomeno dell’immigrazione. Tuttavia, secondo Marcello Maneri, professore di sociologia dei processi comunicativi a Milano-Bicocca, il problema a volte prescinde dall’orientamento politico. Maneri aveva infatti detto a Openpolis nel 2022: «Quando vennero violentate una ragazza al parco della Caffarella a Roma e una a Guidonia da dei ragazzi stranieri, la Repubblica (un giornale non di destra né xenofobo) gli dedicò centinaia di articoli». Per Maneri, «L’attenzione (mediatica, ndr) è la prima cosa. Le violenze da parte di italiani non hanno mai ricevuto una copertura simile».
Per concludere, sui social network è necessaria un’attenzione particolarmente elevata, vista la diffusione e la complessità delle operazioni di disinformazione e propaganda che martellano la narrazione di un’emergenza di sicurezza legata a doppio filo col fenomeno migratorio. Ma questa attenzione rimane fondamentale anche nella fruizione delle informazioni sui media tradizionali: a dispetto delle singole storie dal forte impatto emotivo e della copertura mediatica che ne deriva, bisogna concentrarsi sui dati e sulle analisi per contenere il divario tra realtà e percezione. Chi fa disinformazione vuole ovviamente allargare il più possibile questo iato, perché certi messaggi estremisti trovano un terreno più fertile in uno scenario virtuale in cui gli immigrati violenti mettono a ferro e fuoco il Paese ogni giorno che passa, che non in quello reale.
- No, in queste città europee i migranti non sono la maggioranzaNo, in queste città europee i migranti non sono la maggioranza
- Quest’immagine di una manifestazione contro gli hotel per migranti a Londra è falsaQuest’immagine di una manifestazione contro gli hotel per migranti a Londra è falsa
