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Cosa lascia il DOGE, il “dipartimento” guidato da Musk che ha chiuso i battenti nell’indifferenza generale

Il mandato del dipartimento per l’efficienza governativa si è rivelato perlopiù fallimentare, tra tagli ideologici e tanta propaganda

27 novembre 2025
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Il DOGE chiude i battenti e lo fa quasi di soppiatto. Il dipartimento per l’efficienza governativa, voluto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump e affidato all’imprenditore e suo ex alleato Elon Musk per “tagliare gli sprechi” della macchina federale, è stato di fatto sciolto con otto mesi di anticipo rispetto alla scadenza fissata per il 4 luglio 2026. Lo ha confermato il direttore dell’ufficio della gestione del personale (OPM), Scott Kupor, spiegando a Reuters che il DOGE non esiste più come entità centralizzata e che molte delle sue funzioni sono state assorbite proprio dall’OPM. La chiusura arriva dopo mesi di polemiche, un contenzioso aperto con diversi Stati e un bilancio in chiaroscuro.

La nascita e le funzioni del DOGE

Per capire che cosa è stato davvero il DOGE bisogna tornare al 20 gennaio 2025, giorno del rientro di Trump alla Casa Bianca. Con un ordine esecutivo – un atto unilaterale del presidente, paragonabile a un decreto che orienta l’azione dell’esecutivo federale – Trump istituisce formalmente il Department of Government Efficiency e ne definisce la struttura. Il testo prevede la ridenominazione del precedente United States Digital Service in “U.S. DOGE Service” all’interno dell’Ufficio esecutivo del presidente, la creazione di un’organizzazione temporanea con mandato di 18 mesi e, soprattutto, la formazione di DOGE teams, piccoli distaccamenti del dipartimento, in ogni agenzia federale, con almeno quattro persone incaricate di applicare la cosiddetta “agenda DOGE”. A questi team l’ordine esecutivo garantisce “pieno e rapido accesso” a tutti i sistemi informatici non classificati del governo, allo scopo dichiarato di modernizzare la tecnologia, snellire la burocrazia e tagliare spesa e regolazioni considerate superflue. Il nome dell’agenzia, oltre a essere un acronimo, deriva da un meme molto legato all’immaginario del suo ideatore Elon Musk: il cane Doge, che ha anche ispirato la criptovaluta Dogecoin.

Il CEO di Tesla e SpaceX, nominato figura di riferimento del progetto, aveva promesso di tagliare fino a 2.000 miliardi di dollari dal bilancio federale; cifra poi ridimensionata a 1.000 miliardi di dollari, comunque enorme per un’iniziativa nata da un ordine esecutivo e non da una legge del Congresso. L’idea di fondo era importare la logica delle ristrutturazioni radicali della sua esperienza nel settore privato in un’amministrazione pubblica, considerata da Trump e Musk piena di spese inutili. Obiettivo che sarebbe stato perseguito con licenziamenti di massa, cancellazione di contratti, chiusura di uffici e uso più aggressivo dei dati per scovare truffe e ridondanze. Nel dibattito pubblico, il DOGE viene presentato come una sorta di Manhattan Project (ovvero il progetto per la realizzazione delle prime armi nucleari) dell’efficienza, un esperimento di governo gestito come un’azienda tecnologica.

I risultati effettivi oltre la propaganda

Sul sito ufficiale doge.gov, la narrazione è rimasta fino all’ultimo quella del successo: una lavagna digitale dei risparmi indica 214 miliardi di dollari di spesa evitata, pari a 1.329,19 dollari per contribuente, ottenuti – secondo il DOGE – tramite vendita di asset, cancellazione o rinegoziazione di contratti e affitti, taglio di sovvenzioni e carte di credito governative, riduzione del personale e interventi regolatori. Il “Wall of Receipts”, il muro delle ricevute, elenca migliaia di contratti, premi e prestiti terminati. A colpo d’occhio sembra una rivoluzione silenziosa: più di 13.000 contratti chiusi, quasi 16.000 sovvenzioni revocate, centinaia di affitti cancellati. Ma proprio questo elenco, esibito come prova di trasparenza, si è rivelato da subito uno dei punti più fragili dell’intera operazione.

Un’inchiesta del Wall Street Journal sugli stessi dati di spesa federale ha mostrato tuttavia che molte delle cifre rivendicate dal DOGE erano gonfiate o calcolate in modo discutibile, ad esempio conteggiando come risparmio il valore massimo teorico di contratti che in realtà erano già in scadenza o già stati pagati in larga parte. Newsweek, analizzando nel dettaglio il “Wall of Receipts”, ha ricostruito una serie di casi in cui il DOGE ha rivendicato risparmi iperbolici: il più citato è un contratto con l’agenzia per l’immigrazione ICE, presentato come un taglio da 8 miliardi di dollari che in realtà valeva 8 milioni, un errore di due ordini di grandezza. Già quando il contatore del DOGE segnava 55 miliardi di dollari di risparmi alcune stime valutavano il valore reale tra 1 e 7 miliardi: un’analisi di Politico su 32,7 miliardi di tagli verificabili aveva individuato, nell’agosto scorso, risparmi effettivi vicini a 1,4 miliardi, certificando oltre 53 miliardi di finto risparmio dichiarato dal dipartimento.

A questo si aggiunge un altro dato poco pubblicizzato. La Partnership for Public Service, un’organizzazione non-partisan che studia l’efficienza della pubblica amministrazione, ha calcolato che nei primi cento giorni le interruzioni causate da licenziamenti e riorganizzazioni frettolose attuati dal DOGE avrebbero prodotto costi per circa 135 miliardi di dollari tra perdita di produttività, indennità e spese di ricollocazione e reintegro. In altre parole, una parte significativa dei risparmi viene erosa dalle conseguenze stesse dei tagli. Una successiva relazione della commissione permanente d’indagine del Senato, sintetizzata in un rapporto intitolato “The 21.7 Billion Blunder” “(L’errore da 21,7 miliardi”), ha stimato in oltre 21,7 miliardi di dollari gli sprechi generati dal DOGE a causa di decisioni affrettate, errori di contabilizzazione e contenziosi.

Ci sono stati anche risparmi reali. Nello Stato del Kansas, per esempio, il DOGE ha cancellato l’affitto di un ufficio del dipartimento dell’Agricoltura a Topeka, vuoto da anni e costoso per i contribuenti locali; i media del posto hanno parlato di un «enorme spreco di denaro» finalmente rientrato. Tra le misure più efficaci c’è la disattivazione di circa mezzo milione di carte di credito federali, strumento spesso giudicato come opaco con cui i funzionari possono fare acquisti per conto delle agenzie. Tuttavia, da analisi e rapporti indipendenti emerge che questi piccoli successi vengono usati per giustificare una narrazione di risparmi che i numeri non confermano.

Il lascito del DOGE

Sul fronte dell’organizzazione dello Stato, l’impatto del DOGE è stato profondo. Politico ha calcolato che nei primi cento giorni dell’operazione sono stati licenziati o spinti alle dimissioni quasi 250.000 lavoratori federali, la più grande riduzione del personale dagli anni Sessanta; undici agenzie sono state smantellate o svuotate, oltre 8.500 contratti e 10.000 premi sono stati cancellati. 

Tra le conseguenze più discusse c’è la chiusura de facto dell’agenzia USAID, responsabile di programmi di aiuto allo sviluppo e alla salute globale, con proiezioni interne che parlano di centinaia di migliaia di morti aggiuntive nel medio periodo a causa del blocco di vaccini e interventi sanitari nei Paesi più poveri, come riportato da un’inchiesta del Time. Secondo lo stesso articolo, i tagli all’amministrazione della Social Security, che si occupa di welfare, hanno prodotto ritardi pesanti nell’elaborazione di pensioni e sussidi, mentre l’impatto sulle agenzie fiscali ha reso più difficile per lo Stato riscuotere le imposte, con un calo previsto di oltre il 10 per cento delle entrate entro la scadenza del 15 aprile, in parte attribuito alle riduzioni di personale volute dal DOGE.

A colpire, nell’approccio alla cosa pubblica del dipartimento, la vicinanza del rapporto con i dipendenti federali ai meccanismi imprenditoriali delle aziende di Musk. Celebre in questo senso è la mail “Fork in the Road” (“il bivio”). Inviata il 28 gennaio 2025 dall’ufficio della gestione del personale, allora controllato dal DOGE, a circa 2 milioni di dipendenti federali, proponeva un programma di dimissioni differite per chi non voleva adeguarsi alla nuova linea su ritorno in ufficio, performance e lealtà. In pratica, chi accettava di dimettersi entro inizio febbraio manteneva stipendio e benefit fino al 30 settembre 2025, con un impianto che in alcune versioni dell’offerta includeva la rinuncia ad azioni legali, motivo per cui molti giuristi e sindacati l’hanno letta come un modo aggressivo per spingere fuori i critici dell’amministrazione Trump usando leve economiche. 

Il titolo dell’email copia quello usato da Musk con i dipendenti di Twitter nel 2022 dopo la sua acquisizione dell’azienda. Circa 75mila persone avrebbero accettato l’offerta entro metà febbraio. In seguito è emerso che le risposte dei dipendenti alla mail sono state analizzate con un modello di intelligenza artificiale (Llama 2 di Meta) per classificare atteggiamenti e intenzioni, alimentando i sospetti che l’iniziativa fosse uno strumento di selezione politica della burocrazia federale, più che un esodo volontario.

Accanto al tema dei soldi, l’accesso senza precedenti ai dati sensibili dei cittadini. Un’inchiesta di TechCrunch ha documentato come gli uomini di Musk, grazie all’ordine esecutivo che garantiva al DOGE accesso a sistemi e database non classificati, siano riusciti nelle prime settimane a collegarsi alle piattaforme del Tesoro che gestiscono pagamenti per 6 mila miliardi di dollari l’anno, ai sistemi dell’ufficio della gestione del personale che contengono i dati personali di tutti i dipendenti federali, ai portali per le assunzioni e alle banche dati dei dipartimenti dell’Educazione e della Salute. TechCrunch ha definito questa operazione «il più ampio compromesso noto di dati governativi da parte di un gruppo privato», sottolineando l’assenza di una supervisione chiara sulle modalità di accesso e di protezione delle informazioni sensibili dei dipendenti bersaglio del DOGE.

Parallelamente, un’inchiesta di Wired ha rivelato che il DOGE stava costruendo, all’interno del dipartimento della Sicurezza interna, un database centralizzato per sorvegliare e tracciare i migranti, collegando dati prima separati provenienti da agenzie diverse, dall’Internal Revenue Service alla Social Security Administration fino alle liste elettorali di alcuni Stati. Il progetto, raccontato anche da un briefing del Center for Democracy and Technology, prevedeva la creazione di un grande “data lake” (un archivio centralizzato in cui vengono riversati dati eterogenei, spesso in forma grezza) capace di incrociare informazioni biometriche, cronologie di accesso ai portali online e dati fiscali per localizzare e monitorare i movimenti di migranti e richiedenti asilo. L’uso di queste tecniche pone problemi evidenti di tutela dei diritti e di abuso di potere, soprattutto in assenza di regole chiare su chi può interrogare il sistema e per quali scopi.

A far discutere, anche la mancanza assoluta di esperienza di una parte dello staff di alto livello del DOGE. All’interno del dipartimento ha lavorato anche un gruppo di giovani ingegneri tra i 19 e i 24 anni, con scarsa o nulla esperienza nel settore pubblico, indicato da Wired come nucleo centrale della squadra tecnologica (i cosiddetti “DOGE Kids”). Almeno uno di loro sarebbe ancora studente universitario e un altro risulta volontario, secondo ricostruzioni. Tra loro spicca il 19enne Edward “Big Balls” Coristine, descritto da Wired come il più visibile. Diverse inchieste giornalistiche documentano che questi giovani staffer hanno avuto accesso a sistemi sensibili, compresi quelli con dati su milioni di dipendenti federali e sui pagamenti del Tesoro.

I problemi legali

Alla dimensione tecnica si è aggiunto già agli inizi un fronte giudiziario. Un giudice federale di Washington ha recentemente respinto il tentativo del governo di far archiviare la causa intentata da 14 Stati contro Musk e il DOGE, causa che accusa l’agenzia di accesso illegale ai sistemi informatici federali, cancellazione arbitraria di contratti e licenziamento di dipendenti in violazione della Costituzione. Nella sua ordinanza, la giudice Tanya Chutkan osserva che la Costituzione non consente all’esecutivo di creare, tramite ordine presidenziale, un’agenzia che di fatto concentra poteri enormi nelle mani di un consigliere privato, aggirando le regole sugli incarichi che richiedono la conferma del Senato. È un richiamo esplicito al problema politico di fondo: chi risponde delle decisioni del DOGE, se il suo vero capo non è un funzionario federale ma un imprenditore che resta, almeno sulla carta, un consulente?

Le critiche non vengono solo dall’opposizione democratica. Think tank e giuristi conservatori hanno espresso timori per la concentrazione di potere tecnico in un’unità interna alla Casa Bianca, mentre esperti di amministrazione pubblica ricordano che i processi di efficientamento richiedono tempo, consultazioni e, spesso, investimenti in nuove competenze, non tagli lineari e licenziamenti di massa. L’agenzia ha infatti colonizzato in pochi mesi i ministeri, licenziato centinaia di migliaia di persone salvo poi smettere di fornire rendicontazioni verificabili sui presunti risparmi, rendendo impossibile una valutazione indipendente del suo impatto.

L’addio di Musk e i postumi del DOGE

L’erosione dell’autorevolezza del DOGE ha subito una ripida accelerazione da maggio, quando Elon Musk annuncia l’addio formale al ruolo di “special government employee” e consigliere di Donald Trump. Dietro la scelta, legata anche alle difficoltà delle aziende tech del magnate sudafricano, i crescenti scontri pubblici con la Casa Bianca culminati con le critiche verso il maxi-provvedimento di bilancio che, secondo Musk, avrebbe vanificato i tagli di spesa rivendicati dal suo dipartimento. Il 30 maggio 2025 Trump ha inscenato un saluto ufficiale nello Studio Ovale, lodando i «cambiamenti colossali» ottenuti e assicurando che Musk sarebbe rimasto un alleato esterno. Il DOGE, da quel momento, sparisce dai radar, fino all’annuncio della sua dissoluzione.

La sua fine anticipata non significa che il paradigma MAGA dello Stato come azienda svanisca. Lo stesso direttore dell’OPM Kupor ha rivendicato che i principi del DOGE (individuati in deregolamentazione, guerra agli sprechi, centralità dell’efficienza) continueranno a vivere dentro le strutture tradizionali della burocrazia federale. Alcuni Stati a guida repubblicana, come Florida e Idaho, stanno creando entità locali ispirate al modello. L’idea che una squadra di ingegneri informatici e manager possa entrare nelle amministrazioni con un mandato politico forte e poteri eccezionali resterà un precedente cui altri governi guarderanno, negli Stati Uniti e altrove.

Nonostante ciò, il mandato del DOGE è stato più fallimentare che rivoluzionario. I risparmi ottenuti sono una frazione di quanto promesso: i numeri sbandierati nei report del dipartimento sono stati giustificati con una contabilità creativa e smentiti da varie verifiche indipendenti. Non solo: l’azione di Musk e dei suoi assistenti ha danneggiato la capacità operativa dello Stato, con conseguenze che potrebbero avere strascichi anche nel lungo periodo; ha creato un problema rilevante di governance dei dati, offrendo a un gruppo ristretto di soggetti privati e inesperti un accesso senza precedenti alle informazioni sensibili di cittadini e dipendenti federali. A pochi mesi dal suo lancio trionfale, il DOGE è stato fermato nel silenzio generale da chi lo aveva promosso tra mille proclami.

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