
Tutti pazzi per Ibrahim Traoré, il comandante burkinabè glorificato dalla disinformazione
Una marea impetuosa di fake news e deepfake inonda le piattaforme social in tutta l’Africa Occidentale alimentando il mito di Traoré
L’eco delle armi copre sempre più assordante le voci disperate degli oltre 2 milioni di sfollati e 2.7 milioni di affamati nel Burkina Faso, insanguinato dalla violenza dei gruppi jihadisti e delle forze governative che li combattono, mentre una fitta cortina di disinformazione e propaganda blinda il regime militare del carismatico e controverso capitano Ibrahim Traoré.
Dal golpe che nel settembre del 2022 gli ha consegnato il Paese, la popolarità del più giovane capo di Stato al mondo (37 anni) corre inarrestabile per il West Africa. Per tanti è l’ultimo eroe del panafricanismo, il leader della liberazione dalla stretta soffocante dell’imperialismo occidentale e del neocolonialismo sul cuore del Sahel. Un nuovo Thomas Sankara, insomma, il leader rivoluzionario che prese il potere con un golpe nel 1982 e avviò una politica di lotta alla corruzione e alla povertà.
Con il suo indubbio magnetismo politico e una notevole forza comunicativa, Ibrahim Traoré ha saputo imporsi come simbolo della resistenza africana a ogni forma di ingerenza straniera, facendosi fiero interprete soprattutto del radicato sentimento anti-francese che infiamma la gioventù e la diaspora burkinabé, travolte dal disincanto verso i modelli neoliberisti, le leadership post-indipendenza e l’egemonia occidentale.
È sul duro strappo con la Francia (a favore di un riposizionamento nell’orbita russa), sulla retorica dell’autosufficienza e della sovranità nazionale, e soprattutto sulle promesse di porre fine alla crisi di sicurezza che da un decennio affligge il Paese, che il volto nuovo della politica saheliana ha costruito attorno a sé un consenso capillare, legittimando il proprio potere.
A rafforzare il sostegno popolare contribuisce certamente l’adozione di una serie di politiche economiche radicali per la riaffermazione del controllo burkinabé sulle risorse naturali: la revisione del codice minerario, la creazione di una società di estrazione a capitale pubblico, la nazionalizzazione di alcuni giacimenti auriferi, l’istituzione – per la prima volta nella storia del Paese – di riserve auree statali, per citarne alcune soltanto. Come pure la decisione di abbandonare l’ECOWAS, la Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale, percepita dalla generazione post-coloniale come strumento al servizio delle élite più che del popolo.
Ma è l’immagine di una figura risoluta, decisa a rompere con gli equilibri del passato e dare forma alle speranze africane rimaste troppo a lungo senza voce, a nutrire la sua affermazione.
La fama del Capitano travalica le frontiere. «Dobbiamo smetterla di comportarci come marionette che ballano ogni volta che gli imperialisti muovono i fili»: sono queste le parole che gli hanno spalancato le porte della scena internazionale. Pronunciate in un infuocato discorso rivolto ai leader del Continente durante il vertice Russia – Africa 2023 a San Pietroburgo, si sono rapidamente diffuse online, anche sulla spinta della potente macchina mediatica di Mosca che si è fatta megafono della narrativa che dipinge il numero uno della giunta militare come il portabandiera di una nuova stagione del riscatto africano – funzionale alla strategia russa di indebolimento dell’influenza occidentale nello scacchiere saheliano e non solo.
Ibrahim Traoré è diventato così un’icona, dentro e ben oltre i confini del Burkina Faso. Il suo nome riecheggia per le strade d’Africa, la sua immagine campeggia su murales, magliette, video celebrativi.
Tanta frenesia, però, sembra muoversi sull’onda del disordine informativo. Dietro l’aura rivoluzionaria che avvolge l’uomo forte del Burkina Faso, si cela una realtà ben più complessa che resta offuscata da una estesa campagna di propaganda e disinformazione. E anche di repressione del dissenso.
Le campagne di disinformazione per glorificare Ibrahim Traoré
Una marea impetuosa di fake news, deepfake e contenuti generati o narrati dall’intelligenza artificiale, talvolta mascherati da servizi giornalistici, inonda le piattaforme social in tutta l’Africa Occidentale, alimentando quel mito di Traoré accuratamente forgiato nelle stanze del potere tra uniformi e proclami identitari.
Dall’istituzione di servizi di maternità gratuiti all’annuncio della riforma che renderebbe l’istruzione gratuita per tutti e a tutti i livelli, fino alla proclamazione del Burkina Faso prima nazione africana esentasse. E, ancora, dall’arresto di presunte spie francesi sul territorio burkinabé a Trump che rivendica la proprietà statunitense sulle risorse minerarie africane e definisce Traoré «un traditore» che «unisce l’Africa» sotto gli occhi inermi dell’Occidente. Questi sono solo degli esempi della più ampia offensiva di disinformazione diffusasi online negli ultimi mesi.
A gonfiare il flusso di notizie false o distorte, che fin dall’inizio del golpe scorre costante a celebrare i presunti successi del governo militare e demonizzare l’Occidente, ci sarebbe – come emerge dal più recente rapporto dell’Africa Centre for Strategic Studies e da diverse altre analisi autorevoli – anche un vero e proprio esercito di avatar digitali, reti di account fittizi, e persino influencer e creator al soldo delle campagne di manipolazione e interferenza dell’informazione all’estero orchestrate dal Cremlino.
Il 30 aprile scorso, pochi giorni dopo l’annuncio di un presunto colpo di Stato sventato, attribuito a una rete di cospiratori in Costa d’Avorio, una grande manifestazione di solidarietà al presidente burkinabé ha riempito le piazze della capitale Ouagadougou – e, in forma più contenuta, anche quelle di Accra, Londra, Montego Bay. A fare da contrappunto alla realtà, nelle stesse ore, immagini false di cortei pro-Traoré in altri Paesi, come a Nairobi, Kampala, Harare, Times Square, hanno iniziato a circolare sui social media, con un effetto mediatico dirompente. Lo stesso provocato da un post che sosteneva di mostrare la folla di Ouagadougou usando invece immagini di una protesta antigovernativa serba dello scorso marzo.
Da settimane si moltiplicano in Rete audio deepfake con simulazioni delle voci di star internazionali – Rihanna, Beyoncé, Selena Gomez e altri – intente a cantare le lodi al Capitano. C’è persino un lungo video in cui un falso Papa Leone XIV rivolge a Ibrahim Traoré un messaggio di «verità, giustizia e riconciliazione».
«Populismo algoritmico – lo definisce il ricercatore burkinabé Alidou Werem in un articolo pubblicato da The Africa Report – Si tratta di vibrazioni e visioni, non di fatti o politiche. Le piattaforme premiano lo spettacolo e l’immagine di Traoré si inserisce perfettamente in questo sistema».
Oltre le narrazioni: repressione e un Paese alla deriva
Tra sostegno autentico e costruzione narrativa, avanza un processo di glorificazione digitale di Ibrahim Traoré. In parallelo, si intensificano gli abusi online contro giornalisti, attivisti e chiunque osi criticare “il comandante del popolo” e la sua giunta.
Anche il web si fa spazio armato contro ogni espressione di dissenso, in linea con la più ampia strategia di censura e repressione adottata dal regime. Che riduce l’intero ecosistema mediatico burkinabé al compiacimento del leader, e – forte di una legge d’emergenza che legittima ogni provvedimento in nome della sicurezza nazionale – non esita a rapire, imprigionare e spedire al fronte tutte le voci impegnate a smentire la verità di Stato.
Nonostante la fulminea ascesa della sua popolarità off- e online, quello guidato da Traoré resta infatti un fragile e sempre più autoritario governo di transizione in uno dei contesti più instabili al mondo: non solo il Burkina Faso ha il primato per numero di colpi di Stato riusciti in Africa, ma anche quello di teatro più letale del terrorismo internazionale.
La situazione umanitaria è sempre più drammatica, una delle più gravi e meno raccontate del nostro tempo. Fette sempre più grandi di territorio sfuggono al controllo governativo, lasciate alla mercé degli insorti jihadisti. E la crisi dei diritti umani peggiora di giorno in giorno, tra i massacri di civili e le altre atrocità firmate dai gruppi armati islamisti, e i crimini perpetrati dall’esercito burkinabé e dalle milizie filogovernative che, all’ombra delle operazioni di controinsurrezione, versano sempre più sangue innocente lungo le linee etniche già profondamente lacerate.
Nascosto dalla retorica populista e dalle campagne di disinformazione sui social media c’è un Paese che scivola in fretta alla deriva, inghiottito dalla violenza e dall’oppressione. Eppure, il fascino del presidente in mimetica pare riuscire a oscurare tutto, disegnato com’è dalla scenografia del consenso. Neanche il tradimento delle promesse per un rapido ritorno alla democrazia sembra scalfire il fervore che circonda Ibrahim Traoré, ormai non più traghettatore provvisorio ma comandante destinato a restare.
Nel labirinto narrativo tracciato tra propaganda, disinformazione e mezze verità, si fa strada, tra i giovani burkinabé e lungo le piste polverose di tutto Sahel, una convinzione paradossale e pericolosa: che gli eserciti siano legittimi attori politici e i regimi militari possano rappresentare un’alternativa credibile ai processi democratici ormai sviliti dagli abusi dei leader civili.
Intanto, nel Burkina Faso dove la guerra si confonde con la governance, le armi con le istituzioni, e il racconto con la realtà, sul retro del ritratto del giovane riformatore proliferano nuove forme di controllo, nuove fragilità e un silenzio sempre più difficile da infrangere. Il rischio non è solo smarrire la democrazia, ma normalizzare la sua assenza.
- No, Papa Leone XIV non ha inviato una lettera in risposta al presidente del Burkina FasoNo, Papa Leone XIV non ha inviato una lettera in risposta al presidente del Burkina Faso
- No, il presidente del Burkina Faso non ha inviato questa lettera a Papa Leone XIVNo, il presidente del Burkina Faso non ha inviato questa lettera a Papa Leone XIV