
Il genocidio culturale che i gruppi ultracristiani canadesi vogliono negare
Le scuole residenziali per assimilare forzatamente i bambini indigeni sono finite al centro di un revisionismo che punta a salvare l’immagine della cristianità in Canada
Le scuole residenziali canadesi, attive dal 1831 al 1996, sono state lo strumento principale con cui lo Stato e le chiese cristiane hanno perseguito l’assimilazione forzata dei popoli indigeni. Per generazioni, bambine e bambini furono strappati alle famiglie, privati della lingua e della cultura, esposti a malnutrizione, malattie e abusi.
Oggi la ricerca storica e le testimonianze delle persone sopravvissute confermano la portata di tale violenza, riconosciuta come “genocidio culturale”, cioè la distruzione deliberata dell’eredità culturale di una popolazione per ragioni ideologiche, politiche o razziali.
Eppure in Canada si diffonde un negazionismo, che attraverso tesi fuorvianti e ingannevoli, tenta di ridimensionare o negare questa realtà, mettendo in discussione le prove documentali, gli scavi e la parola delle comunità native. Una resistenza che, dietro l’apparenza di revisionismo accademico, si nutre di spinte ideologiche e del desiderio di salvare l’immagine delle chiese coinvolte.
Le scuole residenziali
Nel 1883 il primo ministro canadese John Macdonald disse in Parlamento: «Quando la scuola si trova nella riserva, il bambino vive con i genitori, che sono selvaggi; è circondato da selvaggi e, sebbene possa imparare a leggere e scrivere, le sue abitudini, l’educazione e il modo di pensare sono indiani. È semplicemente un selvaggio che sa leggere e scrivere». «In qualità di capo del Dipartimento», continuò Macdonald «mi è stato chiesto con insistenza che i bambini indiani fossero il più possibile sottratti all’influenza dei genitori, e l’unico modo per farlo sarebbe quello di inserirli in scuole industriali di formazione centralizzata, dove acquisiranno le abitudini e il modo di pensare degli uomini bianchi».
Nascono così le scuole residenziali, attive dal 1831 al 1996 in Canada, con l’obiettivo di far abbandonare alle persone indigene usi e costumi propri per accettare quelli occidentali in un processo di assimilazione culturale. I bambini e le bambine venivano quindi allontanati con forza dalle famiglie per studiare in queste scuole, gestite dalle chiese canadesi (il 60 per cento dalla Chiesa cattolica) in accordo con lo Stato.
Non potevano parlare la propria lingua né studiare la cultura della popolazione nativa di cui facevano parte, vivevano in condizioni igieniche estremamente precarie e subivano diversi tipi di abusi. Già a inizio ‘900 si discuteva del fatto che le scuole residenziali avessero un tasso di mortalità elevato. Nel 1907 il medico Peter Bryce suggerì che fosse attorno al 42 per cento ma quando il suo rapporto trapelò alla stampa, il Ministro degli Affari Indiani del tempo, Duncan Campbell Scott, sospese i finanziamenti per la sua ricerca.
Durante gli anni ‘60-’80 alcuni istituti iniziarono a chiudere e migliaia di bambini e bambine indigene vennero sottratte ai loro genitori e furono affidate a famiglie affidatarie o adottive, spesso non native. Alcuni minori vennero addirittura mandati all’estero. È il fenomeno chiamato “The Sixties Scoop” (la retata degli anni Sessanta).
Secondo la Truth and Reconciliation Commission, organo ufficiale incaricato dal governo canadese per indagare sulle scuole residenziali, circa 150mila bambine e bambini indigeni hanno frequentato questi istituti. Le scuole furono 139 e si stima che 6.000 individui siano morti al loro interno per malattie, malnutrizione e suicidio. Molti altri non sono stati ancora rintracciati. Spesso le autorità si sono rifiutate di restituire le salme alle famiglie, sostenendo che il costo fosse troppo elevato. Proprio per questo molti sono stati sepolti nelle fosse comuni attorno agli istituti, alcune riesumate nel 2021. Queste pagine della storia canadese sono state riconosciute come genocidio culturale. Nel 2023 il Canada ha accettato di risarcire con 2,8 miliardi di dollari canadesi (quasi 2 miliardi di euro) le comunità indigene per gli abusi commessi nelle scuole residenziali. L’anno prima papa Francesco, durante un viaggio ufficiale in Canada, aveva chiesto perdono per quanto successo in questi istituti, ma le comunità native non sono state pienamente soddisfatte delle sue parole e azioni.
Il negazionismo all’opera
Si è però diffuso un fenomeno di negazionismo in Canada che nega il sistema delle scuole residenziali. Una grossa spinta deriva dai contributi di Jacques Rouillard, professore in pensione dell’Università di Montréal, uno dei quali è stato poi pubblicato nel 2023 nel volume Grave Error: How The Media Misled Us (and the Truth about Residential Schools), a cura di Christian Paul Champion e Tom Flanagan.
In un articolo per The Dorchester Review, sostiene che le salme ritrovate nelle fosse comuni della scuola residenziale di Kamloops, nella Columbia Britannica, nel 2021 sono meno di quante dichiarate dallo Stato canadese e non appartengono solo ai bambini frequentanti l’istituto ma anche a chi viveva nel resto della riserva. Oltre a mettere in discussione la violenza delle scuole residenziali, lo stato di malnutrizione e precarietà esistenziale che le contraddistingueva e il modo in cui sono stati sepolti i cadaveri, senza dare notizia del lutto alle famiglie, lo studioso si chiede: «Le famiglie aborigene sono certamente preoccupate per il destino dei loro figli quanto qualsiasi altra comunità; perché non hanno detto nulla? Inoltre, come si può pensare che interi gruppi di uomini e donne religiosi, dediti a elevati standard morali, possano cospirare per commettere crimini così sordidi senza dissenso e senza nemmeno un informatore?».
Questi interrogativi non prendono in considerazione la distribuzione di potere durante i decenni di funzionamento delle scuole residenziali: i bambini e le bambine indigene erano costrette ad andarvi, senza che le loro famiglie potessero intervenire. Ciò è dimostrato dalle numerose testimonianze delle persone sopravvissute, tra cui Mary Percival, che ha trascorso nove anni proprio a Kamloops. Alla CBC, emittente pubblica canadese, la donna racconta di essere stata portata via dalla sua famiglia all’età di sette anni su un camion per il bestiame e che era proibito andare nel frutteto, proprio dove nel 2021 sono stati trovati 215 cadaveri senza nome.
Le altre argomentazioni dispiegate riguardano invece l’uso del radar a penetrazione del suolo o georadar che inizialmente sembrava potesse individuare i corpi sepolti ed è invece uno strumento adatto a mostrare quelle che vengono definite “aree di disturbo”, che a volte hanno le dimensioni, la forma e la profondità di una tomba. Questa differenza è utilizzata dai negazionisti per negarne del tutto l’efficacia.
Come spiega però l’archeologa Kisha Supernant, il segnale elettromagnetico inviato sotto la superficie rivela le alterazioni nel terreno dovute, ad esempio, allo scavo di fosse. Quando queste anomalie hanno forma, dimensione, profondità e orientamento coerenti con una sepoltura, diventano indizi molto forti di una tomba.
Il metodo non fornisce una radiografia dei corpi, ma funziona come un’ecografia: segnala delle variazioni nel terreno che, incrociate con altri dati (testimonianze delle comunità, archivi storici, fotografie aeree, presenza di cimiteri vicini), permettono di interpretarle con un buon grado di attendibilità. Inoltre, questo tipo di tecnologia è ormai usata in tutto il mondo in campo archeologico e forense per localizzare tombe non segnalate.
Chi nega il fenomeno delle scuole residenziali sfrutta l’ambiguità insita nello strumento: non è progettato né ha le capacità di individuare i corpi nel terreno, ma non è nemmeno quello il suo scopo. Inoltre, come Supernant conferma, chi lavora in questo campo sa distinguere una roccia da un potenziale scavo umano.
Come spiega la testata canadese Pivot, «l’articolo di Rouillard viene ripreso da tutto ciò che è a destra della destra: dai cattolici tradizionalisti, ai nazionalisti bianchi, passando per gli anti-abortisti e i Pequisti [i sostenitori del partito indipendente quebecchese] di destra», diventando una figura di vedetta del movimento negazionista.
Salvare l’immagine delle chiese
Lo sdegno, il dolore, la condanna sociale che sono seguiti alla notizia del ritrovamento dei corpi attorno a Kamloops sono risultati disturbanti per chi sostiene che tale scandalo rovini l’immagine del Paese, «elevando le possibili sepolture al rango di vittime di un atto illecito e facendo sembrare il Canada un ossario di bambini assassinati», come si legge nell’introduzione di Grave Error. Lo scandalo delle scuole residenziali viene visto come una controversia «fomentata per demonizzare i cristiani».
Le dichiarazioni di Rouillard vengono riprese da gruppi evangelici o cattolici ultranazionalisti come la Fraternità Sacerdotale Pio X, che si è esposta per salvare l’immagine della cristianità in Nord America. Davanti all’accusa rivolta alla Chiesa cattolica e alle chiese protestanti di aver collaborato con il sistema delle scuole residenziali, risponde infatti: «Questa è la verità ufficiale. Ma qual è la realtà? Rispondiamo subito che la versione ufficiale è un’invenzione. […] La responsabilità di questa tragedia ricade interamente sui governi canadesi che si sono succeduti e che hanno finanziato le scuole residenziali, non sulle comunità religiose che hanno raggiunto gli obiettivi educativi stabiliti dal Dipartimento degli Affari Indiani». Gli obiettivi educativi consistevano nel principio chiamato “killing the Indian in the child”, uccidere l’indiano nel bambino.
Approfondire il sistema delle scuole residenziali e riconoscerne la violenza viene visto come un «tentativo di screditare la fede religiosa e di estromettere la religione dalla sfera pubblica. Le scuole residenziali sono lo strumento utilizzato per raggiungere questo obiettivo», scrive l’ONG REAL Women of Canada, un’associazione di donne che sostengono i valori della famiglia tradizionale e del matrimonio.
Poco dopo la notizia delle fosse comuni ritrovate nel 2021, nacque il movimento Every Child Matters, per sensibilizzare sul sistema delle scuole residenziali e sul fenomeno del razzismo verso le persone indigene. Ben presto, però, i cattolici oltranzisti quebecchesi trasformarono lo stesso motto sostituendo ai bambini indigeni le foto di feti, quindi dirottando completamente la discussione e rendendolo uno slogan antiabortista.
“La bufala della fossa comune”
A dispetto delle diverse fonti a riguardo (dalle testimonianze delle persone sopravvissute ai documenti d’archivio, dagli scavi alle ricostruzioni storiche), è in aumento la fetta di popolazione canadese che nega a spada tratta che le fosse comuni esistano e che le scuole residenziali fossero violente. Questa teoria negazionista è chiamata “mass grave hoax”, la bufala della fossa comune, e sostiene che attivisti, persone indigene e politici abbiano sfruttato la notizia dei cadaveri senza nome per ottenere vantaggi in campo sociale ed economico e per scioccare la popolazione canadese. L’idea che il genocidio indigeno sia un fake news è arrivata anche in Italia.
Le conseguenze sono state molteplici. Oltre alla diffusione della disinformazione, alcuni negazionisti sono entrati a Kamloops senza permesso, nel cuore della notte, portando delle pale per scavare nel frutteto e vedere con i propri occhi se vi fossero sepolti dei bambini. Come spiega Crystal Gail Fraser, docente dell’Università dell’Alberta, per The Conversation: «Chi si abbandona al negazionismo afferma che le scuole residenziali “non erano poi così male” o che l’entità della mortalità studentesca in queste istituzioni è stata “ingigantita”. I negazionisti potrebbero sostenere che i sopravvissuti mentono sulle varie forme di abusi sui minori perpetrati dai missionari cristiani e che i popoli indigeni dovrebbero essere grati di aver ricevuto un’istruzione. Fanno riferimento alla difficile situazione dei coloni canadesi storici per indebolire questo genocidio».
Tra le ragioni che muovono a negare i fatti a partire dalla svalutazione delle testimonianze orali c’è una componente razzista e ideologica. Sempre Fraser infatti sostiene: «Ignorare o sminuire le esperienze e le conoscenze dei sopravvissuti è un esempio di come il negazionismo persista nell’epoca contemporanea. È sostenuto da convinzioni razziste secondo cui i popoli indigeni sarebbero inferiori, inetti, incapaci e arretrati rispetto ai coloni bianchi o alle società europee».
Anche Sean Carleton, professore di storia all’Università del Manitoba, torna sulla matrice coloniale e razziale del negazionismo in un’intervista per Al Jazeera: «Quello che stanno cercando di fare è minare la fiducia del pubblico nella verità, per chiudere le strade alla guarigione, alla giustizia e alla riconciliazione […] perché quello che vogliono è mantenere intatto lo status quo coloniale».
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