

Non solo Europa, a che punto siamo con la disinformazione russa nel mondo
Negli ultimi tre anni la propaganda del Cremlino si è intensificata e punta a strumentalizzare il sentimento anti-coloniale che anima il Sud globale
Che negli ultimi tre anni la Russia abbia intensificato le proprie attività di guerra ibrida esercitando un’interferenza mediatica globale è ormai un dato acquisito. Se inizialmente queste campagne erano prevalentemente concentrate sul fronte occidentale, la Russia ha esteso da tempo la propria azione su più fronti, sfruttando tensioni e fratture internazionali e raggiungendo America Latina, Asia meridionale, Africa e la stessa Russia. Attraverso una retorica che presenta Mosca come un’alleata affidabile, l’obiettivo è erodere la fiducia nelle istituzioni occidentali, costruire alleanze alternative e rafforzare il controllo informativo sia oltre confine che all’interno del Paese.
La propaganda russa in America Latina erode i legami con gli USA
In America Latina, la Russia ha sviluppato un insieme di operazioni di disinformazione tra le più articolate al di fuori dell’Europa e del Nord America, volte a scoraggiare l’avvicinamento dei Paesi della regione alla sfera occidentale, soprattutto riguardo al sostegno politico o materiale all’Ucraina.
Organismi governativi statunitensi e analisti internazionali descrivono come il Cremlino ricorra a una combinazione di media statali – come Sputnik e RT in lingua spagnola – e reti di giornalisti, influencer e testate locali per diffondere narrazioni filorusse in chiave anti-USA, adattandole ai contesti nazionali. In Argentina, i servizi di intelligence hanno scoperto un presunto network di spie russe legato al cosiddetto progetto “Lakhta”. In Cile, la comparsa di contenuti di RT sulla televisione pubblica ha suscitato critiche e preoccupazioni. In Brasile, una rete di siti web e account social veicolano propaganda filorussa in portoghese. Questi messaggi fanno leva sulla percezione diffusa di storiche ingerenze statunitensi nella regione, un terreno reso ancora più fertile dall’atteggiamento ostile dell’amministrazione Trump.
Recentemente, l’Alliance for Securing Democracy – iniziativa transatlantica che analizza e monitora interferenze e disinformazione – e Factchequeado – piattaforma di fact-checking di lingua spagnola focalizzata sulle comunità latinoamericane in USA – hanno denunciato come l’Associazione dei giornalisti messicani sia progressivamente diventata uno strumento di propaganda. A partire dall’aprile 2025, il 72 per cento dei contenuti sul sito Voces del Periodista consiste nella ripubblicazione di articoli provenienti da media di Stato russi (RT e Sputnik) e cubani (Prensa Latina), inclusi testi firmati dall’ambasciatore russo in Messico. Parallelamente, l’Associazione ha ospitato un seminario per giornalisti messicani tenuti da dirigenti di RT e conferito premi a cospirazionisti come l’influencer della disinformazione americano Alex Jones. Così facendo, viene conferita visibilità e legittimità a livello locale a prodotti editoriali funzionali agli interessi di Mosca.
L’espansione di RT India mira ad antagonizzare l’Occidente
Un altro fronte rilevante è quello dell’Asia meridionale, e in particolare dell’India. In questo contesto, la Russia cerca di proporsi come alleato strategico terzo all’Occidente, enfatizzando temi di sovranità culturale, de-colonizzazione e autonomia nazionale attraverso la contrapposizione narrativa tra “the West vs. the rest”, ovvero “l’Occidente contro il resto del mondo”.
Nel dicembre 2025, durante una visita ufficiale di Putin a New Delhi, è stata lanciata RT India, nuova emanazione del network statale russo pensata per il pubblico indiano e asiatico. Il canale trasmette in inglese – con il piano di integrare contenuti in hindi nel 2026 – presentandosi come una fonte capace di offrire una prospettiva “alternativa” sui grandi temi globali da una prospettiva non occidentale. In questo scenario, l’ampliamento del network RT può essere interpretato come parte di una strategia volta a rafforzare la presenza mediatica russa nel Sud globale e a posizionarsi accanto ai media occidentali già presenti nel mercato indiano; da qui la stipula di un accordo con l’emittente pubblica indiana Prasar Bharati.
L’interferenza russa in Africa
Anche il continente africano si è affermato come un teatro centrale delle campagne di interferenza russe. Qui le operazioni combinano propaganda online, relazioni politiche e sfruttamento di fratture e conflitti locali per ottenere vantaggi strategici e geopolitici.
Come già osservato in America Latina e in Asia, anche in Africa il Cremlino sfrutta il retaggio coloniale per proporsi come partner affidabile e benevolo, proponendo sempre contenuti calibrati sui contesti politici e sociali nazionali. A ciò si aggiungono iniziative di “fact-checking” di facciata che, sotto l’apparenza di analisi neutrali, contribuiscono a un disordine informativo in cui la propaganda russa viene progressivamente normalizzata. Inoltre, RT e Sputnik hanno sviluppato programmi di formazione per giornalisti locali, rivendicando la propria presenza in vari Paesi africani. Al contrario, progetti come TruthAfrica e l’African Digital Democracy Observatory studiano e combattono le interferenze straniere nell’area.
Nel Sahel – in particolare in Paesi come Mali, Burkina Faso e Niger – campagne anti-francesi hanno contribuito a isolare governi filo-occidentali e a favorire giunte più vicine a Mosca; in Sudafrica sono emersi casi di reclutamento online sotto false promesse per combattere in Ucraina. Più in generale, lo scopo è incidere sulle dinamiche politiche ed elettorali, garantendo un allineamento favorevole dalla Russia.
La stretta informativa anche all’interno della Russia
Parallelamente, il Cremlino ha intensificato il controllo sull’ecosistema informativo interno, introducendo restrizioni sulle chiamate vocali via WhatsApp e altre funzionalità delle app di messaggistica. Misure giustificate ufficialmente con la lotta a frodi e criminalità, ma che di fatto limitano l’uso di strumenti di comunicazione crittografata. Sebbene Telegram sia un’app di origine russa, anche questa è sottoposta a pressioni regolatorie e obblighi di collaborazione con le autorità, inserendosi in una più ampia strategia di sovranità digitale.
Queste iniziative si affiancano a severe restrizioni sulla libertà dei media, con numerose testate internazionali e piattaforme indipendenti classificate come «organizzazioni indesiderate» o bloccate – da ultima Deutsche Welle – riducendo ulteriormente l’accesso a informazioni non allineate nel Paese.
Una strategia globale in un mondo che cambia
Nel loro insieme, questi sviluppi riflettono una tendenza più ampia della Russia a ridefinire e diversificare la propria influenza globale al di fuori dello spazio euro-atlantico, cercando in Asia, Africa e America Latina un contrappeso politico e simbolico. A quasi quattro anni dall’inizio della guerra in Ucraina, la disinformazione si consolida come strumento centrale di questa strategia adattiva, in un momento di ridefinizione degli equilibri globali in cui partner storici, come gli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump, non sono più percepiti ovunque come interlocutori affidabili.
L’efficacia di queste operazioni dipende però dalla capacità degli ecosistemi informativi locali di resistere alle interferenze esterne: contesti segnati da minore pluralità dell’informazione, regolamentazione online scarsa o assente, instabilità politica e frustrazioni socioeconomiche offrono un terreno particolarmente favorevole alla penetrazione di narrazioni manipolative.

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