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Gli strascichi islamofobici della vittoria di Mamdani

Il primo sindaco musulmano di New York sta affrontando da mesi un’ondata di disinformazione che lo attacca personalmente e politicamente

7 novembre 2025
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Lo scorso 4 novembre, il trentaquattrenne socialista democratico Zohran Mamdani è diventato il 111º sindaco della città di New York, al culmine di un’ascesa politica rapida e sorprendente, che lo ha visto battere con oltre un milione di voti l’ex governatore Andrew Cuomo – già sconfitto durante le primarie democratiche – e il candidato repubblicano Curtis Sliwa.

L’elezione di Mamdani, nato in Uganda da una famiglia indiana e arrivato a New York quando era ancora un bambino, segna una lunga serie di primati: sarà il primo sindaco proveniente dal sud del continente asiatico, il più giovane che la città abbia avuto da oltre un secolo, il secondo socialista a ricoprire la carica, il primo sindaco millennial. Mamdani sarà anche il primo sindaco musulmano della storia di New York, un particolare che – unito al suo programma considerato troppo radicale – ha scatenato una notevole quantità di disinformazione. 

La disinformazione politica su Mamdani

Le idee al centro della proposta politica di Zohran Mamdani ruotano attorno a vari temi. L’argomento principale riguarda la casa e l’accessibilità economica, sostenendo affitti più bassi, più edilizia pubblica, maggiore tutela per gli inquilini, un freno alla speculazione e nuovi alloggi a prezzi calmierati. Inoltre propone investimenti su trasporti, scuole, sanità di base e spazi pubblici, con l’idea che la città debba essere vivibile anche per chi non è ricco. È schierato su salario minimo più alto, sindacalizzazione, welfare locale e protezione delle categorie vulnerabili. Appoggia politiche fiscali e di spesa che redistribuiscano risorse, come tasse più progressive e più fondi ai quartieri popolari. Il suo sostegno al popolo palestinese e la sua ferma critica nei confronti di Israele vanno oltre la posizione della maggior parte dell’establishment democratico. In generale, la proposta politica di Mamdani mira a coinvolgere chi, storicamente, è rimasto ai margini della società newyorkese: giovani, lavoratori precari e famiglie immigrate. 

Inoltre, subito dopo l’elezione, Zohran Mamdani ha annunciato una squadra di transizione composta interamente da donne, incaricata di realizzare quella che ha definito come «la piattaforma politica più ambiziosa che la città abbia visto», e promettendo di mettersi subito al lavoro una volta entrato in carica, dal prossimo 1º gennaio.

Una serie di caratteristiche che, come prevedibile, hanno scaldato gli animi del presidente Donald Trump e dei repubblicani, dei conservatori e delle destre di tutto il mondo che pensano sia troppo radicale e addirittura «un incubo» come è stato definito anche da vari politici di casa nostra. Per questo motivo dopo la sua elezione, Zohran Mamdani è finito al centro di una feroce campagna di disinformazione che prende di mira da un lato le sue proposte politiche (o presunte tali), dall’altro il suo credo religioso, sfociando in propaganda islamofoba e razzista.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ad esempio, ha definito Mamdani un «comunista» e ha affermato che la sua elezione rappresenti una perdita di «sovranità» per gli Stati Uniti, sostenendo che Miami diventerà un rifugio per chi fugge dal «comunismo a New York». Ha detto che gli americani devono scegliere tra «comunismo e buon senso» e ha accusato i Democratici di rappresentare un incubo economico mentre lui promette un miracolo economico. Ma le accuse al programma di Mamdani sono tante e spesso costruite su un’impalcatura di bugie, una dinamica inziata ben prima della sua elezione.

Il 20 ottobre 2025, su X, è circolato lo screenshot di un articolo del New York Post, tabloid di orientamento conservatore, che riportava un titolo in inglese piuttosto netto: “Zohran Mamdani ha affermato, in un’intervista podcast riapparsa, che la polizia di New York non dovrebbe rispondere alle chiamate per violenza domestica”. L’autore del post ha poi commentato la presunta notizia sostenendo che «L’islamizzazione è un rischio esistenziale imminente. Continuando a ignorarlo, la nostra civiltà è destinata a sparire». In sostanza, secondo lui, Mamdani, essendo musulmano, non vorrebbe che la polizia intervenisse in casi di violenza domestica perché questi atti non sarebbero considerati reati da contrastare.

In realtà il post presentava la questione in modo molto fuorviante e diffondeva una notizia infondata. L’articolo del New York Post, pubblicato a luglio 2025, riprendeva infatti una vecchia intervista che Mamdani aveva rilasciato nel 2020 al podcast Immigrantly. In quell’occasione, aveva detto che la polizia non dovrebbe intervenire nei casi di violenza domestica, per evitare possibili escalation, né nelle situazioni che riguardano senzatetto o pedoni che attraversano fuori dalle strisce. Secondo lui, spesso persone in difficoltà finiscono per essere ferite o uccise invece di ricevere aiuto dalle forze dell’ordine. Mamdani sosteneva che molte responsabilità affidate alla polizia dovrebbero passare a figure formate per gestire quelle crisi, non a persone armate con una formazione limitata. Per questo aveva proposto la creazione di un dipartimento per la sicurezza della comunità, con un budget da un miliardo di dollari, dedicato alla gestione delle emergenze legate alla salute mentale e ad altre situazioni simili.

E sempre sul tema della polizia e dei finanziamenti previsti per le forze dell’ordine, l’ex direttore di Repubblica, ora editorialista e commentatore per lo stesso quotidiano, Maurizio Molinari, ospite al programma Omnibus di La7, nei giorni scorsi ha affermato che Mamdani «persegue la riduzione dei fondi alla polizia». In realtà Mamdami ha più volte preso le distanze dallo slogan “defund the police” –  che in italiano si può tradurre come, appunto, “togliere fondi alla polizia” – che in passato aveva sostenuto. Dopo la sparatoria avvenuta a Manhattan il 28 luglio 2025, in cui l’assalitore aveva ucciso quattro persone prima di togliersi la vita, Mamdani si era unito ai gruppi che rappresentano le vittime della tragedia e aveva risposto alle domande dei giornalisti sul suo precedente sostegno ai tagli al dipartimento di polizia della città.

Come ha riportato la testata Politico, Mamdani aveva dichiarato: «Non sto togliendo fondi alla polizia; non mi candido per togliere fondi alla polizia», aggiungendo che «durante tutta questa campagna sono stato molto chiaro sulla mia idea di sicurezza pubblica e sul ruolo fondamentale che la polizia ha nel garantirla». Inoltre, mentre rispondeva alle domande dei media, era affiancato dalla Bangladeshi American Police Association – l’associazione di cui faceva parte l’agente Didarul Islam, ucciso nell’attacco – e dal sindacato 32BJ, che rappresentava Aland Etienne, la guardia giurata rimasta vittima della stessa aggressione.

Maurizio Molinari, nello stesso intervento, ha anche aggiunto che Mamdani vorrebbe depenalizzare tutti i furti sotto i duemila dollari, ma anche in questo caso non si trova niente del genere nel programma presentato dal neo eletto sindaco. A New York, il furto di beni dal valore fino a 1.000 dollari è considerato un “furto minore”, punibile con un anno di carcere e una multa fino a 1.000 dollari. Se si supera questa cifra, scatta l’accusa di furto aggravato, che può portare fino a 4 anni di detenzione e una multa fino a 5.000 dollari. Il programma politico di Zohran Mamdani, che il candidato ha sempre presentato come l’unica fonte ufficiale delle sue proposte per New York, non contiene la proposta di depenalizzare i furti sotto i 2.000 dollari, né quelli sotto i 1.000. Questa storia infondata ha iniziato a circolare dopo un altro articolo del New York Post, datato 24 agosto, secondo cui i Democratic Socialists of America (DSA), l’organizzazione politica a cui Mamdani appartiene, vorrebbero cancellare i reati minori. Mamdani però ha preso le distanze, spiegando alla stampa che il suo programma non è quello dei DSA. Come ha ricordato anche il New York Times lo scorso 3 settembre, Mamdani aveva chiarito di non voler depenalizzare i reati minori e che, se eletto sindaco, avrebbe fatto rispettare le leggi vigenti.

Un’ondata di islamofobia

Ma non tutta la disinformazione si è limitata alle proposte elettorali. Il 5 novembre scorso è circolato su X un post secondo cui Zohran Mamdani sarebbe un «musulmano radicale» che vorrebbe «globalizzare l’intifada». Il termine “intifada” indica le rivolte popolari palestinesi, a partire del 1987 in poi, contro l’occupazione di Israele dei territori palestinesi, caratterizzate da boicottaggi dei prodotti israeliani e violenze armate.

Quella secondo cui Mamdani vorrebbe rendere l’intifada un fenomeno globale è semplicemente una notizia falsa. Tutto nasce da un’intervista al podcast politico FYPod, diffusa a giugno, in cui il conduttore aveva chiesto a Mamdani cosa pensasse dell’espressione “globalizzare l’intifada”, usata in alcune manifestazioni a sostegno della Palestina. Mamdani aveva risposto che l’antisemitismo è un problema reale a New York e che l’amministrazione dovrebbe contrastarlo concretamente. Aveva anche spiegato di non sentirsi a suo agio con l’idea di vietare parole o slogan, perché questo creerebbe una limitazione alla libertà di linguaggio. 

A questo punto, il podcaster Miller era intervenuto per chiedere se quello slogan, ovvero “globalizzare l’intifada”, lo facesse sentire a disagio, così come la frase “from the river to the sea” (che in italiano significa “dal fiume al mare”, e rappresenta uno slogan a sostegno della Palestina che alcune persone interpretano in chiave antisemita). Mamdani aveva risposto che per alcune persone quelle due frasi hanno significati molto diversi, aggiungendo «quello che percepisco in tanti è un desiderio disperato di equità e pari diritti nella difesa dei diritti umani dei palestinesi». Il sindaco di New York aveva poi continuato affermando che il museo dell’Olocausto negli Stati Uniti ha utilizzato quella parola (cioè “intifada”) per tradurre in arabo la rivolta del ghetto di Varsavia, dal momento che il termine, in arabo,  significa proprio “lotta”. «Essendo un credente. musulmano cresciuto dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre», aveva commentato Mamdani, «sono consapevole di come le parole possano essere distorte per giustificare qualsiasi cosa».

Pochi giorni dopo, in TV al programma Meet the Press, gli era stata posta la stessa domanda e lui aveva ribadito che quell’espressione non fa parte del suo linguaggio e che il suo impegno è basato sui diritti umani universali. Aveva anche ricordato che avrebbe investito in programmi contro i crimini d’odio, ma che non era compito del sindaco censurare le parole delle persone. A luglio, in un incontro privato con imprenditori riportato da New York Times e Wall Street Journal, aveva poi chiarito che non userebbe mai la frase “globalizzare l’intifada” e che scoraggerebbe gli altri dal farlo, perché alcuni la interpretano come un invito alla violenza, anche se altri la usano semplicemente come espressione di solidarietà ai palestinesi.

Il filone disinformativo principale è comunque quello che associa la sua identità musulmana a presunte minacce per la sicurezza della città, alimentando stereotipi e paure infondate. Roberto Vannacci, ex generale dell’Esercito italiano e parlamentare europeo eletto nel 2024 nelle liste della Lega, ha commentato con queste parole l’elezione di Mamdani: «24 anni dopo l’11 settembre, New York ha un sindaco musulmano. Così l’Occidente celebra la propria resa culturale chiamandola progresso». E non è stato da meno il vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini, che su X ha scritto: «Primo sindaco islamico a New York. Nella città ferita l’11 settembre hanno scelto un primo cittadino socialista, pro-pal, pro-gender che ha dichiarato che serve togliere fondi alla polizia e che non dovrebbero esistere i miliardari». E con loro anche altri commentatori italiani, come il giornalista del Corriere della Sera Federico Rampini e l’opinionista di destra Francesco Giubilei

L’11 settembre del 2001 Mamdani aveva 9 anni e non ha chiaramente alcun legame con l’attentato alle Torri Gemelle, ma questo tipo di retorica è diventato l’assist perfetto per una corrente di disinformazione che intende alimentare odio e razzismo. 

Tra le affermazioni false di questo tipo, le più violente sono quelle che lo collegano all’organizzazione militante islamica ISIS, nota anche come Stato Islamico. In particolare, nei giorni scorsi è circolato su X un presunto comunicato dell’ISIS, riportato con il logo dell’Agenzia di Stampa “Amaq”, che secondo il dipartimento di Stato degli Stati Uniti fa parte dell’“apparato di propaganda” dello Stato Islamico. La dichiarazione faceva riferimento a un attacco a New York City nel giorno delle elezioni, affermando: «Noi, nello Stato Islamico, desideriamo esprimere la nostra più sincera eccitazione e la più profonda approvazione per il jihad di oggi a New York City». E ancora: «Le operazioni del 4 novembre sono state la risposta più attentamente coordinata contro l’aggressione e l’imperialismo americano lanciata dal mondo musulmano dai tempi dell’11 settembre». 

Questa presunta dichiarazione è stata condivisa da personaggi come l’influencer repubblicana Laura Loomer, che si definisce “orgogliosamente islamofoba”, e che ha sostenuto che i musulmani avessero celebrato la vittoria di un candidato musulmano con un attacco dell’ISIS a New York, raccogliendo oltre 200mila visualizzazioni. Anche la commentatrice Sarah Adams, che dichiara di essere un ex agente della CIA, l’ha rilanciata su X, affermando che l’ISIS stesse minacciando la città il giorno delle elezioni. Il suo post, che poi è stato rimosso, ha ottenuto circa 200mila visualizzazioni

Si tratta di un documento completamente falso

Innanzitutto durante il giorno delle elezioni non c’è stata alcuna minaccia reale né alcun attentatore, come invece riportato nella falsa dichiarazione. Inoltre, NewsGuard, progetto di monitoraggio dei media che si occupa di analizzare le dinamiche della disinformazione a livello internazionale, ha rintracciato la prima versione di questo testo su 4chan, una sorta di forum noto per aver dato il via a note bufale e teorie del complotto. La ricercatrice Meili Criezis ha spiegato sempre a NewsGuard che quel messaggio non somiglia affatto ai veri comunicati dell’Agenzia Amaq: mancavano lo stile, la struttura e persino gli elementi grafici tipici. Amaq, infatti, serve solo a diffondere notizie e rivendicare attacchi, non a fare minacce pubbliche.

Lo stesso dato è emerso da un’analisi dell’Information Epidemiology Lab, che studia la diffusione della disinformazione legata alla sicurezza nazionale, secondo cui la propaganda autentica dell’ISIS è sempre molto curata, inquadrata teologicamente e altamente standardizzata nel tono e nella struttura, caratteristiche totalmente assenti in quel falso comunicato.

Inoltre, nel luglio 2025, l’autoproclamato Stato Islamico aveva duramente attaccato su Telegram i musulmani che avevano festeggiato la candidatura di Zohran Mamdani a sindaco di New York, accusandolo di essere fedele ai «non credenti» e agli «omosessuali» a causa delle sue vedute progressiste sui temi LGBT+.

Sempre sulla stessa linea disinformativa, Radio Genoa, account di disinformazione xenofoba, ha condiviso un video in cui si vedono alcune persone arrampicarsi su un palo e staccare dalle loro aste le bandiere degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite. Secondo quanto riportato da Radio Genoa il filmato mostrerebbe musulmani di New York mentre strappano le bandiere americane tra gli applausi della folla musulmana, successivamente all’elezione di Mamdani. Aggiungendo, inoltre:  «Tempi bui per New York». Il video è stato in relatà girato nel novembre 2023 durante una manifestazione a New York e non ha niente a che fare con Zohran Mamdani e la sua elezione a sindaco della città. 

Sullo stesso filone è stato pubblicato anche un altro video, che mostra una folla di uomini vestiti di nero che festeggiano e ballano a ritmo di una musica incalzante e alcuni striscioni con delle scritte in arabo. Secondo chi ha fatto circolare questo video si tratterebbe di uomini musulmani che festeggiano a New York dopo la vittoria di Mamdani. In realtà il video è stato originariamente pubblicato da una pagina facebook che si chiama Bizim Salayan e ha sede in Azerbaijan il primo febbraio 2025 e mostra un gruppo di uomini sciiti che partecipano a un rituale religioso durante il Muharram, il primo mese del calendario musulmano. 

In Italia, Mamdani è stato accusato anche di aver già iniziato a imporre divieti che hanno a che fare con le prescrizioni della fede islamica, bandendo sigarette e biglietti della lotteria. In realtà il riferimento è a una dichiarazione di Mamdani che spiegava come questi due prodotti  non sarebbero stati venduti nei “city-run grocery stores”, ovvero dei negozi di alimentari a gestione pubblica e con prezzi calmierati che Mamdani vorrebbe sperimentare a New York. Il presunto “divieto” non sarebbe in ogni caso esteso ai negozi privati.

Altri post pubblicati in Italia hanno accusato a vario titolo Mamdani di jihadismo, di essere sostenuto da Hamas e di essere un membro della Fratellanza Musulmana.

Equality Labs, un’organizzazione transnazionale dell’Asia meridionale che combatte per i diritti civili, ha pubblicato un report intitolato “Tracciare l’odio online contro Zohran Mamdani” in cui spiega di aver monitorato e analizzato manualmente 500 post su oltre 12 piattaforme tra giugno 2025, cioè dopo la vittoria di Mamdani alle primarie per la carica di sindaco, e la fine di ottobre. L’organizzazione ha anche condotto un’analisi su larga scala della durata di un anno su oltre 17,1 milioni di post online relativi a Mamdani. Lo studio tiene traccia dell’islamofobia, della xenofobia, della retorica anticomunista/anti-classe operaia e dei discorsi di incitamento all’odio contro i sudasiatici rivolti a Mamdani nei post sui social media statunitensi. 

I risultati mostrano che dei 500 post su Mamdani monitorati manualmente, l’80,8 per cento era islamofobo. Il 7,2 per cento di questi contenuti descriveva Mamdani come un «terrorista», il 5,4 per cento chiedeva che fosse addirittura espulso o privato della cittadinanza statunitense, mentre il 2,4 per cento esprimeva sentimenti anti-immigrati. Invece, dei circa 17,1 milioni di post totali, 1,15 milioni erano di natura islamofoba. Il tema centrale di una presunta «invasione musulmana» affonda le sue radici nelle ideologie di destra post 11 settembre, sempre secondo quanto riportato dal rapporto e disegna i newyorkesi musulmani come eterni outsider. L’effetto è quello di mascherare il bigottismo e l’odio come preoccupazione pubblica, sostituendo fatti e dibattiti politici con insinuazioni infondate e paure, normalizzando argomenti islamofobi e razzisti nel discorso mainstream.

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